Gesù Cristo

Fondamento della fede cristiana

“Cristo” è la parola più ricorrente nel Nuovo Testamento per definire la persona di Gesù. Ricorda che Gesù è venuto a compiere le profezie dell’Antico Testamento, cioè a realizzare l’intervento decisivo di Dio che porta nel mondo la pace e la giustizia. Nel linguaggio biblico, tale intervento è chiamato Regno di Dio. Gesù ha mostrato il significato del Regno di Dio attraverso una pratica di accoglienza, di insegnamento e di comunione.

Gesù è stato accogliente; non ha rifiutato nessuno, non ha mandato via nessuno senza rivolgergli la parola di cui aveva bisogno. Ha parlato con le donne (cosa che i maestri ebrei si guardavano bene dal fare) e le ha accolte come discepole. C’è di più. L’accoglienza manifestata da Gesù era l’accoglienza stessa di Dio che libera l’essere umano dal peccato attraverso il perdono. 

Il suo insegnamento era contemporaneamente un’azione. Non insegnava idee generali e generiche, ma spiegava ciò che stava accadendo. Così il Regno di Dio, l’intervento che fa nascere un mondo di pace e di giustizia, non era più una realtà semplicemente futura, ma cominciava a incidere nel presente. E chi ascoltava era invitato ad abbandonare la vecchia mentalità e a cambiare radicalmente atteggiamento: non più l’io al centro di tutto, ma una vita rivolta verso Dio, aperta a un’esperienza viva della sua volontà e a nuovi rapporti umani improntati alla comunione.

L’opera di Gesù suscita comunione. Egli ha creato attorno a sé una comunità di discepoli e discepole. Non un gruppo chiuso, perché il seguito che aveva Gesù era molto più ampio della cerchia dei discepoli; la comunione era destinata insomma ad allargarsi. La comunione non permetteva che emergessero posizioni di superiorità. Al posto della supremazia di alcuni Gesù esigeva il servizio reciproco di tutti. Ognuno doveva essere disposto a dare sostegno agli altri, sia nelle necessità materiali, sia nell’azione comune che, secondo il suo ordine, aveva l’obiettivo di diffondere il suo messaggio.

L’accoglienza, l’insegnamento, la comunione non erano novità che potessero essere accettate pacificamente dai capi religiosi e dalle autorità romane che governavano la Palestina. L’opera terrena di Gesù si conclude, infatti, con una morte sulla croce che fa pensare a un totale fallimento. La croce è un momento tenebroso. Le tenebre che avvolgono la terra al momento della crocifissione ricordano tragicamente la condizione di un’umanità priva di Dio. I capi sacerdoti e il governatore romano Pilato condannano Gesù e rifiutano il messaggio di vita che egli ha incarnato. Dio abbandona questa umanità, dicono i profeti. Ma Gesù assume su di sé questo abbandono e grida: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

Proprio questo abbandono, con tutto il dolore infinito di cui è carico, costituisce l’inizio di una nuova azione potente di Dio. La morte di Gesù ci rivela che tutta la sua opera e la sua stessa vita è in nostro favore; Gesù non ha riservato per sé neppure un briciolo della sua esistenza. La croce ci rivela l’amore di Dio, costituisce non la fine di una impresa religiosa, ma la dimostrazione del significato dell’esistenza di Gesù, e contemporaneamente l’inizio di una nuova azione potente di Dio. Dio agisce nella morte di Gesù; subisce la potenza distruttrice, l’affronta e l’annienta.

Il risultato di questa azione è la risurrezione. Gesù è dato all’umanità non solo come colui che prende su di sé la conseguenza mortale del peccato, ma come colui che apre all’umanità un nuovo cammino di vita, in cui la morte non può più incutere paura. Gesù è ora più che mai il Signore che accoglie, che guida, che porta alla pienezza della comunione con Dio gli esseri umani, realizzando anche la pace tra di loro.

La divinità di Gesù sta in questo straordinario potere di comunicare vita. Egli è il Figlio di Dio in quanto la stessa forza creatrice di Dio, il suo stesso amore diventa, grazie alla sua vita e alla sua opera, realtà nella storia umana.