Culto
Sin dalle origini della chiesa apostolica, i cristiani e le cristiane hanno scelto di incontrarsi nel primo giorno della settimana, la domenica dies, il giorno della resurrezione del Signore, per ricordare la sua vita e per imparare a servirlo sempre meglio. È quanto l’apostolo Paolo definì “culto” nella lettera ai Romani (al capitolo 12): offrire la propria vita a Dio, cioè vivere ispirandosi a Gesù Cristo.
La Riforma protestante ha deciso di riprendere la prassi delle prime comunità cristiane, organizzando il culto in alcuni elementi essenziali: la lettura del Vangelo e dei Salmi, la meditazione della Scrittura, il canto, la preghiera, la professione del Credo e l’eucaristia.
Questo è l’attuale ordine della liturgia in uso nelle chiese valdesi e metodiste:
- apertura con un salmo e una preghiera
- confessione di peccato
- lettura della Scrittura
- predicazione
- confessione di fede
- Santa Cena
- Colletta
- preghiera d’intercessione
- Padre nostro
- benedizione.
I tratti distintivi del culto evangelico sono la semplicità e la sobrietà, a partire dal luogo in cui si svolgono: i locali di culto non sono consacrati e la parola “chiesa” non indica il luogo in cui ci si riunisce ma il popolo dei credenti che in quel luogo si incontra. Il locale di culto è spesso contraddistinto da un pulpito, che testimonia l’importanza che la predicazione ha avuto sin dalle origini della Riforma: il pulpito era posto in posizione elevata in modo che l’assemblea potesse ascoltare l’annuncio della Scrittura anche in mancanza dei sistemi di amplificazione moderni. Questo era, del resto, l’elemento essenziale del culto: Lutero soleva dire che “le comunità cristiane non devono mai riunirsi se non per ascoltare la predicazione della Parola di Dio… se non c’è sarebbe meglio non cantare, né leggere, né riunirsi”. Non sono, invece, presenti altare – perché la Santa Cena non è considerata un sacrificio e una commemorazione – e luoghi dove conservare le ostie. La Santa Cena non viene celebrata durante tutti i culti ma secondo le abitudini delle singole comunità.
I culti sono presieduti da un uomo o una donna chiamati a questo compito dall’assemblea. La meditazione della Scrittura è invece compito principale di chi esercita il ministero del pastorato o della predicazione, perché si ritiene necessaria una preparazione specifica.
Un momento molto importante è il canto degli inni da parte dell’assemblea, che è un’altra forma di preghiera comune che si avvale della musica, considerata dai Riformatori uno dei doni più belli ed elevati di Dio per l’umanità.
Il canto ha un significato particolare nella relazione dell’uomo con Dio, come risulta evidente alla lettura del libro della Bibbia più poetico e musicale: i Salmi. Qui l’inno sacro copre una gamma vastissima di significati: è espressione di lode ma anche di preghiera, espressione della verità di fede ma anche invocazione; testimonia spesso la dimensione militante della fede, l’impegno per vivere al servizio del Signore.
All’inizio della Riforma, le chiese nate dalla predicazione di Lutero cantavano in particolare dei “corali”, adattamenti di inni latini gregoriani e di canzoni popolari o parafrasi di salmi, ma anche melodie di libera invenzione. Lutero stesso, con i musicisti suoi collaboratori, preparò componimenti di forma strofica con testo poetico, facilmente memorizzabili e ampiamente divulgati. Questi “corali del catechismo” avevano l’obiettivo di far sì che i fedeli cogliessero i vari aspetti del messaggio evangelico e se ne appropriassero. In questo modo il canto sacro diventava anche una forma di comunicazione: cantando, i credenti non solo meditano il messaggio cristiano, ma allo stesso tempo lo comunicano agli altri.
Nelle chiese riformate si diffusero, nella stessa epoca, i salmi cantati (l’unica forma musicale ammessa da Calvino): parafrasi poetiche e musicate dei 150 salmi contenuti nell’Antico Testamento. Le raccolte originali subirono una fase di deterioramento nel XVIII e XIX secolo, ma seri studi hanno permesso di ricostruirne la versione originale dal punto di vista musicale, mentre i testi sono stati riscritti in francese moderno.
Nel XVIII secolo gli inni luterani hanno sempre la forma di “corali”, ma con melodie più agevoli e delicate e con testi dettati dalla ricerca di una più intima comunione tra il Salvatore e il credente. Col Pietismo, nel Settecento, si afferma una linea melodica vieppiù vivace e piacevole, influenzata anche dalla musica profana, vocale e strumentale. È il tempo della straordinaria produzione di corali “fioriti” di J. S. Bach, autore inoltre di moltissime fantasie e variazioni per organo su melodie di corali.
Nella cosiddetta epoca del Risveglio si diffusero canti che avevano una facile presa sulle assemblee, anche se spesso il livello musicale era modesto. Vi furono, tuttavia, composizioni di validi musicisti – è famosa la raccolta di Ira D. Sankey con 1.200 inni – e anche di grandi autori, quali Haendel, Mozart, Beethoven, Schubert, Mendelssohn.
Nel corso del XX secolo troviamo un certo numero di inni composti da evangelici italiani musicisti o dilettanti, nello stile post-romantico; dall’America giungono canti spirituali neri e gospel, alcuni dei quali, più vicini alla sensibilità europea, sono cantati nelle comunità evangeliche con testi tradotti dall’originale o con testi rivisitati per argomenti differenti.
Dopo il 1968 le chiese di vari paesi europei producono, a imitazione dei canti a sfondo politico-sociale dei giovani, molti canti assai distanti dallo stile dei “corali”, dei salmi e degli inni romantici. Melodie snelle e ritmi freschi sono di supporto a testi direttamente ispirati alla Bibbia o centrati su problematiche attuali, viste da una prospettiva cristiana.
Sacramenti
Il termine sacramento (dal latino sacramentum, il giuramento di fedeltà delle truppe romane) è usato dagli evangelici per indicare dei gesti particolarmente significativi, compiuti durante il culto, che richiamano il dono della salvezza. Dalla tradizione che ne aveva via via accresciuto il numero, gli evangelici hanno mantenuto i due soli istituiti da Gesù.
I sacramenti sono azioni che rappresentano le promesse del Signore. Mentre la meditazione del Vangelo fatta nella predica coinvolge attraverso l’udito, nel sacramento il messaggio è dato dall’azione e dalla realtà materiale e comunica alla vista, al tatto, all’odorato e al gusto. I sacramenti rappresentano, e confermano efficacemente, il messaggio dell’Evangelo e per questo devono essere accompagnati dalla lettura del Vangelo su cui sono fondati.
Santa Cena
La Santa Cena, che nelle chiese cattoliche è chiamata eucaristia (dal verbo greco eucharisteo che significa ringraziare), per gli evangelici riveste un’importanza fondamentale. Si preferisce questa definizione perché vuole far ricordare che questo sacramento è stato istituito da Gesù nel corso dell’ultima cena con i suoi discepoli.
Non si tratta di una differenza solo lessicale: attraverso la condivisione del pane (che in alcune chiese protestanti può avere la forma dell’ostia) e del vino, la Santa Cena commemora il dono che Gesù ha fatto della sua vita e non ripete il sacrificio di Cristo che, così come è scritto nella lettera agli Ebrei, è irripetibile.
Questa concezione teologica ha conseguenze decisive nella visione della chiesa, della grazia divina, del perdono, che sono diverse da quelle presenti nella teologia cattolica:
- la presenza di Cristo nel pane o nell’ostia sono intesi diversamente: per i cattolici l’ostia diventa corpo di Cristo con la consacrazione, mentre per gli evangelici il pane richiama il dono che Gesù ha fatto della sua vita ed è comunione al suo corpo;
- poiché non vi è ripetizione del sacrificio, la celebrazione del rito evangelico è affidata a un membro della chiesa e non a un ministro investito di una sacralità permanente come il prete;
- non esiste una virtù salvifica della messa che possa essere trasferita ai credenti defunti, come ritengono i cattolici.
Battesimo
Il secondo sacramento praticato dagli evangelici è il battesimo, a partire dall’esplicito comandamento di Gesù: “andate e ammaestrate tutti i popoli battezzandoli…” (Vangelo di Matteo 28,19). Su questo si registrano però, all’interno del mondo protestante, due posizioni. Se le chiese storiche, luterani, riformati, anglicani, praticano il battesimo dei bambini rinviando l’ammissione come membro attivo nella comunità a un momento successivo (sulla base di una dichiarazione di fede personale con l’atto liturgico detto “confermazione”), altre chiese evangeliche (come quelle di antica tradizione battista e quelle più recenti di ispirazione pentecostale) battezzano gli adulti che si dichiarano credenti.
In tutti i casi, però, l’atto battesimale fa sì che attraverso il segno dell’acqua (si tratti dell’aspersione sul capo o dell’immersione) venga annunciato un evento che non dipende dalla persona: la grazia di Dio viene a noi come un suo dono e la fede consiste nel riceverlo. Non si deve intendere questo gesto come magico, perché non è il battesimo che ci fa cristiani ma la fede in Gesù Cristo.