Dialogo ecumenico


Il termine “ecumenismo” deriva da oikouméne che indicava nella cultura greca la parte abitata della terra. È stato accolto negli ambienti cristiani per indicare l’universalità del messaggio cristiano e in epoca moderna l’orientamento delle chiese cristiane a superare la visione confessionale che identifica la Chiesa di Cristo con la propria comunità ecclesiale.

Non sono mai mancate nel corso della storia cristiana delle personalità che hanno avvertito che la divisione e spesso il conflitto fra le chiese era un fatto negativo, in contraddizione con lo stesso Credo che afferma “credo la Santa Chiesa Universale (o cattolica per usare la parola greca). Il problema si è posto però con urgenza in epoca moderna per due motivi. Il primo, di natura culturale, è legato al concetto di tolleranza che si fece strada nella coscienza europea alla fine del Seicento; il secondo, di natura spirituale, nasceva nel quadro dell’opera condotta nei paesi extraeuropei dai missionari, che presentavano la fede cristiana, ma spesso nella forma della propria confessione (cattolica romana, anglicana, metodista), facendo sorgere l’interrogativo se si trattasse della stessa religione o di tante religioni concorrenti.

L’ecumenismo in Italia

In Italia, i primi rilevanti contatti tra le denominazioni protestanti (battisti, metodisti, chiese libere, valdesi) ebbero inizio solo nella seconda metà dell’Ottocento e specialmente dopo l’unificazione del Regno d’Italia (1870). Prima di questa data la predicazione evangelica sul suolo italiano fu impossibile o fortemente limitata. Il primo considerevole passo verso la collaborazione tra diverse chiese e movimenti protestanti è stato compiuto nel 1920, durante il I Congresso Evangelico tenutosi a Roma.

Il ventennio fascista, però, rese difficili o addirittura impossibili tutti i tentativi di testimonianza comune. Nel 1946 le due Chiese metodiste (episcopale e wesleyana) si unirono e, insieme alla Chiesa valdese e alle Chiese battiste, costituirono un “Consiglio Federale” delle chiese evangeliche italiane. Nel 1965 si riunì il II Congresso Evangelico, per decisione del quale, nel 1967 si costituì la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI).

Ne deriverà una collaborazione sempre più stretta a livello locale e nazionale nella preparazione dei pastori e delle pastore, nell’elaborazione di testi educativi per la catechesi, nella preparazione di programmi radiofonici e televisivi, nella difesa della libertà di coscienza e nell’accoglienza ai migranti.

Le Chiese pentecostali non fanno parte della FCEI. Le Chiese metodiste e valdesi hanno avviato dei dialoghi con alcune di loro.

La Chiesa cattolica romana ha mantenuto in passato un atteggiamento di radicale condanna di ogni iniziativa ecumenica partendo dall’assunto di essere l’unica chiesa di Cristo perché fondata sul ministero di Pietro. In questa prospettiva tutte le altre realtà ecclesiali, le chiese ortodosse come quelle evangeliche, non si possono attribuire il titolo di chiese e l’ecumenismo deve essere inteso unicamente come il ritorno all’obbedienza romana. Per questo è l’unica chiesa storica che non ha sino a questo momento partecipato al movimento ecumenico in forma istituzionale; non è cioè membro del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC).

Il Concilio Vaticano II ha naturalmente rappresentato un mutamento profondo di questa prospettiva; la presenza di osservatori a tutte le sessioni stava a significare una apertura alla realtà del mondo non cattolico. Si sono così avviate forme diverse di incontro.

Per quanto riguarda le relazioni ecumeniche o interconfessionali la situazione italiana è del tutto particolare rispetto ad altri paesi del continente europeo dove le due confessioni hanno convissuto per secoli, sia pure spesso in modi conflittuali. Il fatto che la Riforma protestante non abbia avuto nessuna rilevanza nella vita religiosa e culturale italiana e i movimenti di Riforma del ‘500 siano stati stroncati dall’Inquisizione ha fatto sì che la presenza evangelica sia risultata nel nostro paese fatto esterno e irrilevante. La presenza dopo il 1848 di gruppi evangelici minoritari è stata fortemente ostacolata dalla chiesa cattolica che ha assunto spesso nei loro confronti atteggiamenti persecutori. A questo si aggiungeva il fatto che nella mentalità del clero e dei fedeli italiani la presenza protestante era avvertita come elemento estraneo alla coscienza comune.

Anche in Italia però il Concilio segnò una svolta e determinò progressivamente un nuovo clima nei rapporti interconfessionali. Ne fu segno importante la comune traduzione della Bibbia promossa dalla Società Biblica in Italia. A questa particolare traduzione in lingua corrente hanno collaborato numerosi studiosi valdesi e metodisti.

Il più importante documento del dialogo ecumenico, la Carta Œcumenica, è stata accolta dal Sinodo nel 2001. Uno dei problemi di maggiore tensione è sempre stato quello delle unioni matrimoniali fra cattolici ed evangelici per la diversa valenza data al matrimonio: sacramento per i primi, comunione di fede e di vita per i secondi. Mentre in ottica protestante ogni matrimonio, anche quelli interconfessionali, è legittimo e valido, per i cattolici lo sono solo quelli celebrati in chiesa romana. Il tema è stato oggetto di lunghe riflessioni al termine delle quali è stato stipulato fra la Conferenza Episcopale Italiana e il Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi un documento, il “Testo comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti“, approvato nel 1997, a cui ha fatto seguito, nel 2000, il Testo applicativo.

Il clima di fiducia e di rispetto creatosi progressivamente col tempo, favorito anche da colloqui e incontri a livello locale, permette di affrontare con maggior serenità le letture diverse che le varie confessioni fanno dei principi teologici di base.

L’ecumenismo all’estero

La Chiesa Valdese nei secoli ha sempre mantenuto strette relazioni con tutte le chiese cristiane europee ed è perciò entrata senza difficoltà in tutte le organizzazioni cristiane a carattere ecumenico, a cominciare del Consiglio ecumenico delle Chiese, di cui è tra i membri fondatori.

Il Consiglio ecumenico delle Chiese (World Council of Churches) ha sede a Ginevra e tiene all’incirca ogni sette anni regolari assemblee che si possono definire concili ecumenici perché raccolgono i cristiani di tutto il mondo. Accanto al Consiglio Ecumenico vi sono altre organizzazioni a carattere interconfessionale di cui valdesi e metodisti sono membri:

  • la Conferenza delle chiese europee (KEK), che raccoglie tutte le chiese non cattoliche d’Europa ed ha avuto grande ruolo nella guerra fredda perché è stata l’unica organizzazione a mantenere uniti credenti dell’ovest e dell’est;
  • la Conferenza delle chiese protestanti dei paesi latini, con analogo scopo, raccoglie le chiese evangeliche del sud Europa;
  • la Comunione di chiese protestanti in Europa (CPCE), organismo interconfessionale, nato fra luterani e riformati ma poi ampliatosi ad altre denominazioni protestanti, che ha offerto e offre una riflessione su temi dottrinali, i cui esiti hanno consentito di dichiarare tra le chiese membro della comunità una piena comunione;
  • la Comunità di chiese in missione (CEVAA) che riunisce 35 chiese nel mondo. È sorta dall’antica Società delle Missioni Evangeliche, successivamente Comunità Evangelica di Azione Apostolica. Ha sede a Montpellier.

Le chiese valdesi e metodiste, oltre a intrattenere rapporti con chiese in Europa e negli USA, sono membri delle rispettive organizzazioni confessionali mondiali: la Comunione mondiale di chiese riformate (WCRC) e il Consiglio metodista mondiale.