La parola “grazia” (ha la stessa radice di gratuito, gratis) è usata dagli apostoli per dire come Dio ci vede: creature fallite che devono essere perdonate. Grazie significa infatti perdono, comprensione, è molto simile perciò ad amore. Una delle parabole più celebri di Gesù è appunto quella del padre che accoglie il figlio scapestrato che ha lasciato la casa; l’apostolo Paolo parla della “giustificazione” dei peccatori: Dio cioè non imputa agli uomini le colpe che hanno commesso, ma li riceve come figli e figlie.
Questo pensiero è accolto da tutti i cristiani, senza distinzione, è anzi il fondamento della loro religione. Il fatto però che il suo centro sia il sacrificio di Gesù in croce vuol dire che la grazia di Dio non si può meritare, ma è un atto della sua volontà che possiamo solo accettare.
La grazie di Dio è un po’ come quella che fa un re o un presidente quando condona la pena ad un ergastolano: la sua condanna resta perché al male che ha fatto non si rimedia, ma può riprendere una nuova vita.
Anche se l’opera della grazia trasforma il credente e lo rende libero, egli resta peccatore. Lutero diceva che davanti a Dio noi siamo nelle stesso tempo “peccatori e giusti”.