La parola si trova molto spesso nel vangelo e nelle lettere degli apostoli. Nela lingua greca del tempo significava “voler bene a qualcuno”. Gli apostoli la scelsero per dire il rapporto fra Dio e l’umanità.
Avrebbero potuto usare la parola “amore” o “amicizia”, che però avevano un altro senso, e ne scelsero una nuova per esprimere la novità della religione cristiana: la compassione che Dio ha per noi è la chiesa che dobbiamo avere fra noi creature umane. Quando Girolamo tradusse la Bibbia dal greco in latino, usò al posto della parola “agape” la parola “charitas”, che significa “voler bene”, ma nel senso di “avere compassione”, che è molto più profondo del “fare la carità”.
Così, per esempio, nel cantico della lettera ai Corinzi, Paolo dice: se uno non ha agape tutto quello che fa è senza valore, “come il suono di un cembalo”; chi è ispirato dall’agape, invece, cioè dall’amore di Dio, è “paziente, non si vanta, non cerca il suo interesse, riesce sempre a sperare, credere e sopportare ogni cosa”.
L’amore di Dio non è come il nostro amore più in grande (nemmeno il più profondo, come quello di una madre); piuttosto è l’amore degli uomini e delle donne che dovrebbe essere, in piccolo, come quello di Dio.