Dal 5 all’8 febbraio si è tenuta a Elspeet (Paesi Bassi), una consultazione promossa dalla Comunione di Chiese protestanti in Europa (CPCE) sul tema dottrinale della “comunione ecclesiale”. L’organismo, che raggruppa Chiese protestanti luterane, riformate, metodiste e unite di oltre trenta paesi dell’Europa e del Sud America (e di cui a anche la Chiesa valdese è parte), vanta da sempre un campo di indagine molto ampio che va dalla dogmatica alle questioni etiche. L’obiettivo prioritario è che questa comunione di chiese possa essere la voce chiara e il più possibile unitaria del protestantesimo europeo, un’interlocutrice autorevole nel dibattito culturale, civile ed anche politico in pieno svolgimento nel nostro continente. All’incontro olandese era presente, da parte valdese, il pastore Pawel Gajewski il quale ha risposto ad alcune nostre domande sul tema.
Che cosa si intende esattamente con il termine “comunione ecclesiale” e qual è il contributo specifico che la Comunione di chiese protestanti in Europa porta su questo fronte in ambito ecumenico?
La comunione tra Chiese è prima di tutto un dono di Dio. La proclamazione di tale comunione è naturalmente opera di uomini e di donne che hanno compreso l’importanza di questo dono. La Concordia di Leuenberg afferma che la comunione ecclesiale nasce dalla comune comprensione dell’Evangelo e si manifesta principalmente nella comune celebrazione del culto cristiano e della Cena del Signore in particolare. Tutte le altre forme visibili di comunione nascono e crescono nell’ambito circoscritto da queste due coordinate. Le chiese protestanti in Europa propongono questo modello di comunione a tutte le altre chiese cristiane.
Quali i principali risultati emersi dall’incontro di Elspeet?
Il principale risultato dell’incontro di Elspeet è dunque la riconferma del consenso esistente tra chiese protestanti europee intorno a questo modello. L’altro risultato particolarmente importante è la bozza del documento dottrinale che approfondisce gli argomenti appena menzionati. Tale bozza sarà nei prossimi mesi ulteriormente elaborata da un gruppo di esperti e in seguito inviata a tutte le chiese facenti parte della CPCE. Tra le difficoltà che sono state segnalate nel corso dei lavori emerge il rischio che le divergenze nell’ambito dell’etica possano impedire o addirittura distruggere la comunione ecclesiale.
La comunione ecclesiale non è un dato raggiunto una volta per tutte, non può essere considerata in modo statico. Si tratta piuttosto di un processo che si realizza attraverso la testimonianza e l’approfondimento teologico. Qualche considerazione su questo?
La testimonianza resa alla comunione in Cristo è prima di tutto l’agire comune. Vorrei ricordare che il Patto d’integrazione tra metodisti e valdesi in Italia è una delle realizzazioni della comunione ecclesiale più riuscita. Il punto centrale di questo patto non è una semplice fusione tra due ordinamenti bensì la coesistenza di due profili storici e confessionali all’interno dello stesso ordinamento. Oggi percorsi simili al nostro si sono concretizzati nei Paesi Bassi e in Francia.
Per quanto riguarda l’approfondimento teologico vorrei invece esprimere una considerazione piuttosto critica. I colloqui dottrinali della CPCE hanno ormai prodotto una vera e propria biblioteca che contiene testi di grande spessore teologico. Purtroppo la maggior parte delle chiese aderenti non valorizza abbastanza questi documenti nei dibattiti sinodali e nel lavoro comunitario. La seconda considerazione riguarda chiese di matrice pentecostale e/o evangelicale.
Nel corso della consultazione è stata più volte sottolineata la necessità di prendere sul serio impulsi liturgici e spirituali che provengono da quell’ambito. La stessa raccomandazione vale anche per le chiese e gruppi di origine straniera che sempre più spesso fanno parte degli ordinamenti delle chiese della CPCE.
Nel 2017 ricorreranno i 500 anni della Riforma. Tale anniversario è importante non solo in ambito protestante ma anche nel dialogo con il cattolicesimo. Come intende presentarsi la CPCE a questo appuntamento? Si può parlare di un’unità d’intenti dinanzi all’interlocutore cattolico, che potrebbe privilegiare un dialogo con le chiese luterane?
La CPCE, da quasi tre anni, conduce i colloqui dottrinali con il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. A questi colloqui partecipa anche, per parte valdese, il professor Fulvio Ferrario. I risultati finora raggiunti sono incoraggianti e non si limitano allo stretto ambito territoriale europeo. Si tratta di capire insieme se il modello di comunione che la CPCE rappresenta sia applicabile a una dimensione più ampia. Il dialogo della Chiesa cattolica romana con i luterani verte invece su alcune questioni teologiche più specifiche che solo indirettamente coinvolgono le Chiese riformate e metodiste. I due livelli di dialogo sono dunque complementari. Se entro il 2017 la CPCE potesse giungere con i cattolici a una convergenza di vedute sul cosiddetto “modello Leuenberg”, questo aprirerebbe dei percorsi di comunione finora inediti.
10 febbraio 2015