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Verso una riforma della chiesa

Un’analisi del pontificato di Francesco tra sortite progressiste e retromarce conservatrici

È inutile nasconderselo, la morte di un pontefice e il laborioso processo di elezione del successivo non lasciano indifferente il mondo, al di là dei confini confessionali. Questa volta persino la piccola chiesa valdese, di solito piuttosto fredda e giustamente polemica sul ruolo papale e su chi lo assume, non ha potuto celare un sentimento di sincera commozione per la morte di Jorge Mario Bergoglio, papa Francesco, ricordando fra lʼaltro la sua visita inattesa al tempio valdese di Torino – la prima di un papa in una chiesa protestante – e la sua ancor più inattesa richiesta di perdono per le sofferenze inflitte ai valdesi nel corso della storia. Fu uno dei suoi molti tentativi, spesso solitari, di «costruire ponti e non muri», di essere pontefice.

Certo, nulla con lui è mutato sul piano dottrinale, né egli è riuscito a dar forma concreta, ecclesiologica, al suo anelito alla sinodalità. Su alcuni temi sensibili, anche etici, le sue affermazioni hanno fortemente oscillato fra sortite progressiste e retromarce conservatrici, creando disorientamento. In questo, i suoi detrattori tradizionalisti hanno paradossalmente una qualche ragione. Ma proprio il suo modo umano, comunicativo, umile e schietto a un tempo, di svolgere questo difficilissimo ruolo, mettendovi al centro la vicinanza anche fisica agli ultimi, agli esclusi, allʼumanità più che ai dogmi, e lottando ostinatamente, anche sul piano diplomatico, per la pace e il disarmo, ha condotto la chiesa cattolica a un bivio.

Se il prossimo papa vorrà avanzare realmente nella direzione non più che tratteggiata da Francesco circa la sinodalità e la piena inclusione, a tutti i livelli ecclesiastici, di chi è escluso, dovrà essere capace di andare oltre, molto oltre, verso una vera riforma della chiesa, affrontando il rischio di vaste e profonde lacerazioni nel cattolicesimo mondiale. Se invece si resterà sul solo piano empatico, umanitario, di vicinanza agli ultimi, di bonaria inclusione, di pace e nonviolenza – ammesso che si trovi una personalità autorevole atta a ripetere lʼesperienza fatta con Bergoglio – tutto ciò sbiadirà presto di fronte allʼesigenza della chiesa di aver chiara la propria vocazione.

Perché se è pur vero che sempre vi saranno poveri da assistere, è altresì vero che la chiesa esiste come risposta alla chiamata di Gesù Cristo. Se non ode quel richiamo, se in essa non risuona vivente la buona notizia di Dio per lʼumanità intera, la chiesa cessa di essere tale.

Auguri alla chiesa universale.

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