La tappa fiorentina del progetto “Fermiamo l’odio, aiutiamo i costruttori di pace”
Mercoledì 15 maggio, presso il Tempio Valdese di via Micheli a Firenze, si è tenuto un incontro che ha toccato profondamente i cuori di chi ha avuto la possibilità di parteciparvi.
L’iniziativa fa parte del progetto “Fermiamo l’odio, aiutiamo i costruttori di pace” promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e dalla rivista e Centro studi Confronti.
La tappa fiorentina è stata organizzata in collaborazione con le comunità locali (Chiesa Valdese, Chiesa Battista, Esercito della Salvezza, Chiesa Luterana) e il Centro culturale protestante Pietro Martire Vermigli.
L’incontro ha visto la partecipazione di una coppia di testimoni d’eccezione: due attivisti, Mia Biran e Ahmed Alhelou, una israeliana e l’altro palestinese, membri del movimento Combatants for Peace, un’organizzazione binazionale che riunisce ex combattenti dei due popoli, oggi impegnati a promuovere, insieme, un percorso di riconciliazione e nonviolenza.
Il tempio era gremito, segno evidente di quanto, in un tempo segnato da conflitti e fratture, ci sia sete di ascolto, di verità e di speranza. Il silenzio raccolto e partecipe del pubblico durante le testimonianze è stato forse il primo indicatore della profondità dell’incontro. Non si è trattato di una semplice conferenza, ma di un vero momento di condivisione umana, intensa, capace di spostare il punto di vista e toccare corde profonde.
I due attivisti hanno raccontato il loro vissuto personale: la sofferenza, la rabbia, la perdita, la paura e poi la scoperta dell’altro come persona, il passaggio difficile ma possibile dalla contrapposizione al dialogo. Le loro parole, mai retoriche, hanno descritto un cammino doloroso e coraggioso, fatto di scelte quotidiane controcorrente, contro la logica dell’odio e della vendetta.
La forza della loro testimonianza è risieduta proprio nella concretezza: non idee astratte ma vite reali, trasformate dall’incontro con l’altro. È stata un’occasione preziosa per calarsi in una realtà tanto complessa quanto spesso semplificata nei dibattiti pubblici, attraverso le voci di chi quella complessità la vive ogni giorno sulla propria pelle.
Molto apprezzati anche gli interventi di saluto dell’Imam di Firenze, Izzedin Elzir e di Sara Cividali, già presidente della Comunità ebraica di Firenze. Anche il loro intervento, non un formale saluto, ma una testimonianza concreta capace di spostare lo sguardo da stereotipi e narrative dominanti, ha contributo alla profondità della serata.
Al termine dell’incontro si poteva notare facilmente nei partecipanti la profonda commozione provata: le parole ascoltate hanno saputo rompere schemi consolidati, toccare ferite antiche e allo stesso tempo dare spazio ad una speranza concreta. Un’occasione importante costruita per avere un momento che non è stato solo di informazione, ma di formazione del cuore e della coscienza, nella convinzione che le chiese non solo possano ma debbano essere uno spazio di ascolto, confronto, comprensione, contro la tendenza alla semplificazione che banalizza le questioni complesse e favorisce una polarizzazione che nuoce alla ricerca di una pace giusta per tutti.
Questa iniziativa si inserisce in un percorso più ampio che le Chiese evangeliche italiane stanno promuovendo con determinazione: un impegno concreto per contrastare l’odio, ogni forma di razzismo e violenza, contro ogni rigurgito di islamofobia e antisemitismo, per sostenere chi, in ogni parte del mondo, sceglie la via della riconciliazione, anche nei contesti più difficili.
In un tempo in cui la pace sembra una parola sempre più fragile, ascoltare chi lavora ogni giorno per renderla reale e tangibile è un dono prezioso. L’incontro del 15 maggio è stato, in questo senso, una luce accesa nel buio, una testimonianza viva di come, pur tra mille contraddizioni, un’altra strada sia possibile.
