ArticoliEvangelici e società

Sull’arresto dell’imam di Torino

Un articolo del presidente del Concistoro della locale Chiesa valdese

Pubblichiamo qui di seguito un articolo di Sergio Velluto, presidente del Concistoro della Chiesa valdese di Torino, riguardante l’arresto dell’imam Mohamed Shahin. Sul caso Shahin si è espressa anche la Federazione delle chiese evangeliche in Italia attraverso un comunicato stampa.

L’arresto di Mohamed Shahin, imam della moschea torinese di via Saluzzo, tradotto nel CPR di Caltanissetta per dar corso alla sua eventuale espulsione dal nostro paese, ha suscitato alcune riflessioni in chi, nella comunità valdese di Torino, lo ha conosciuto direttamente in anni di dialogo interreligioso.

Innanzitutto, riguardo alle modalità con cui la vicenda ha preso avvio: una interrogazione parlamentare che faceva riferimento ad una dichiarazione estemporanea dell’imam raccolta nel corso di una manifestazione di solidarietà per Gaza (subito corretta e ridimensionata da lui stesso). Ci domandiamo: in Italia è possibile rimanere vittima di un provvedimento di espulsione per aver espresso la propria valutazione su dei fatti che accendono i dibattiti da anni? Non ci troviamo di fronte ad una possibile violazione del diritto costituzionale alla libertà di opinione?

Ma i nostri dubbi sono cresciuti quando abbiamo appreso dai mezzi di informazione che le motivazioni della convalida del procedimento da parte della magistratura contesterebbero all’arrestato un «ruolo di rilievo in ambienti dell’Islam radicale», anche in ragione dei contatti con soggetti noti per posizioni estremiste.

Da anni la Moschea Omar di via Saluzzo è attrice, insieme alla Comunità ebraica, la Chiesa cattolica e la Chiesa valdese, del dialogo interreligioso nel quartiere di San Salvario. Da anni l’imam Shahin è promotore e comunque presente accanto a noi in molteplici iniziative per la pace e per la rigenerazione del quartiere.

L’ultima in ordine di tempo è stata la firma, il 16 ottobre 2025, da parte dei responsabili dei quattro luoghi di culto del quartiere (Moschea, Comunità ebraica, Chiesa cattolica e Chiesa valdese) di un documento che ribadiva il reciproco impegno in questa direzione.

Ci domandiamo come sia possibile questa stridente contraddizione tra le accuse formulate all’imam Shahin e la conoscenza diretta della sua persona che abbiamo maturato in questi anni di impegno comune.

Come persone di fede, operatori di accoglienza e speranza, riteniamo che le contestazioni fatte all’imam in ragione dei contatti con soggetti noti per posizioni estremiste, andrebbero circostanziate. Nelle nostre chiese e, immagino nelle moschee, nella cura pastorale negli istituti di pena o sulla strada, l’ascolto e il conforto spirituale prescinde dalla regolarità dei documenti o dalla fedina penale che l’interlocutore, spesso occasionale, può garantire.

Non è dunque facile entrare nel merito specifico di questa triste vicenda perché la nostra esperienza confligge totalmente con la narrazione espressa dal provvedimento di espulsione. Ciò che va assolutamente evitato è di alimentare le contrapposizioni a priori o utilizzare forme di lotta violenta che nulla hanno a che vedere con l’impegno per la soluzione pacifica di ogni controversia e che nel caso specifico poco giovano all’imam Shahin, alla sua famiglia e alla sua comunità.

Mohamed Shahin, se fosse espulso in Egitto, correrebbe un rischio serio legato alla sua posizione di oppositore del regime. Pertanto, sarebbe davvero auspicabile che per motivi umanitari la sua espulsione non avesse corso. Si restituirebbe così una risorsa, contradittoria e fragile come siamo tutti noi, al percorso di solidarietà e di pace che continueremo a percorrere nel nostro quartiere e nella nostra città.

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