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Sinodo: discorso conclusivo del Moderatore

Dio infatti ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di forza, d’amore e di autocontrollo. (II Timoteo 1,7)

Ho scelto questo versetto biblico tra i molti che sono stati evocati in uno dei momenti più difficili che abbiamo vissuto quest’anno (dopo l’attentato di Nizza del 14 luglio).

Ma ciò che è accaduto in centro Italia nella notte tra martedì e mercoledì richiede la nostra attenzione prioritaria.

Il terremoto

Il sinodo, infatti, si è svolto nei giorni terribili del terremoto che ha colpito il centro Italia, l’ennesimo terremoto distruttivo che ha colpito questo paese.

Il sinodo ha espresso il proprio cordoglio per le vittime, la solidarietà  e la preghiera per tutte le popolazioni colpite… E naturalmente ci impegneremo per aiuti concreti, coordinandoci con i vari attori istituzionali, come abbiamo già  fatto nel caso precedente del terremoto dell’Aquila, dove abbiamo svolto interventi di sostegno sociale e psicologico.

Al dolore e partecipazione per questo ennesimo dramma, si unisce la preoccupazione per la ricostruzione: si farà ? Sarà  lunga e complicata? Più che la mancanza di risorse, sarà  la nostra confusa burocrazia statale che impedirà  le risposte rapide necessarie? E sarà  anche l’ennesima occasione per alimentare i circuiti corruttivi e della criminalità  organizzata e la polemica politica?

Se tutte queste preoccupazioni alimentano quotidianamente la nostra angoscia in riferimento alla crisi economica e alla disoccupazione, tanto più accade di fronte a drammi di questo tipo in cui dovrebbero prevalere invece la solidarietà  e l’impegno disinteressati.

E naturalmente si ripropone il pensiero per l’insufficiente attività  preventiva che affligge il nostro paese.

Lo sappiamo, ogni euro speso in questo campo è un euro benedetto. Ma bisognerebbe spenderne molti di più.

Lo diciamo sempre dopo ogni dramma, ma poi…

La “casa europea”

Viviamo tempi difficili, care sorelle e cari fratelli, lo ripetiamo da anni, ma quest’anno sembra essersi fatto più profondo il senso di precarietà  e insicurezza che pervade la nostra società , le nostre chiese, le nostre famiglie, perfino i nostri più intimi convincimenti.

Temiamo che la nostra casa europea non ci protegga più o che i suoi fondamenti di civiltà , diritto, welfare, tendenziale laicità  siano feriti per sempre e non più riportabili ai livelli di solo pochi anni fa.

Ma proprio in questi tempi difficili in cui prosperano i seminatori di incertezze, paure, terrore e morte, risuona il richiamo di 2 Timoteo 1,7

“Dio ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di forza, d’amore e di autocontrollo”.

Come ci è stato ricordato direttamente anche in questo sinodo dai rappresentanti delle chiese dell’ecumene, non possiamo non rilevare che, non solo noi, ma anche moltissime chiese cristiane d’Europa, senza differenza confessionale, qualche volta anche in contrasto con i rispettivi governi nazionali e una parte della loro opinione pubblica, stanno tenendo ferma la posizione della responsabilità  e coesione sociale, della corretta e differenziata informazione, del rifiuto delle posizioni preconcette e catastrofistiche.

La realtà  che viviamo in Europa, a differenza di quella descritta da alcune narrazioni manipolatorie, ci mostra una società  che reagisce alla situazione critica che stiamo vivendo con civiltà , con misura, con solidarietà . Una società  certamente ferita, ma che mantiene, per esempio, quello stato di diritto a noi tanto caro.

Lo ha dichiarato chiaramente il sinodo con un proprio atto: no, non stiamo vivendo una guerra di religione – anche se qualcuno vorrebbe spingerci in questa direzione – ma questo non vuol dire che le religioni e gli uomini e le donne di fede non abbiano nulla da dire e si possano ritenere assolti da ogni responsabilità .

Per quanto blasfema ed eretica, l’idea che si possa uccidere nel nome di Dio (nel passato i valdesi sono stati vittime di questa idea) ha attraversato e talora attraversa, anche oggi, le religioni. Di fronte a questo abuso nessuno può tacere.

Permettetemi di ricordare un paio di esempi dolorosi della nostra storia recente:

  • quando in Germania negli anni 30 del Novecento i cosiddetti “cristiano tedeschi”, cioè la versione religiosa del nazismo, si impadronì del governo della chiesa evangelica in Germania, ci fu la reazione della “chiesa confessante” che iniziò una “battaglia nella chiesa” (kirchenkampf – i più giovani vadano almeno a vedere le immagini su internet relative a questo periodo) per riaffermare, contro il verbo nazista, che per i cristiani l’unico fuhrer (capo supremo) è Gesù Cristo, che l’unica terra da ricercare (il nazismo voleva dare più spazio vitale ai tedeschi) è quella dei cieli e che l’unico sangue che salva (il nazismo promuoveva la pura razza ariana) è quello versato da Gesù Cristo per noi. Fu un contributo necessario e importante per contrastare quell’ideologia totalitaria e assassina e soprattutto per la rinascita di una libera coscienza tedesca, dentro e fuori la chiesa.
  • quando in Sud Africa il sistema dell’apartheid, ideato nei primi decenni del secolo scorso e formalizzato giuridicamente nel 1948, e smantellato soltanto nel 1994, pretendeva giustificazione bibliche e teologiche riaffermate da più autorevoli esponenti di due chiese riformate sudafricane – una delle quali era la più larga denominazione protestante del Paese – il Consiglio ecumenico delle chiese, nel 1969, lanciò il “Programma per combattere il razzismo” che ebbe un grande effetto a livello spirituale, culturale e politico, e nel 1982 l’Alleanza mondiale delle chiese riformate dichiarò l’apartheid una “eresia teologica” “sospendendo” dal suo seno queste due chiese sudafricane. Nel 1994 terminava in modo pacifico quel regime ingiusto e avviava un grande processo di riconciliazione nazionale con la guida illuminata del predicatore metodista Nelson Mandela. Una di quelle due chiese riformate “sospese” (la più grande, la NGK Chiesa riformata olandese), fu riammessa nell’ARM nel 1999 dopo una revisione profonda delle proprie posizioni.

Ho citato questi esempi – ma se ne potrebbero anche citare altri – perché testimoniano come, di fronte all’abuso del nome di Dio, non basta rivendicare la propria diversità  o la propria estraneità  alla violenza – che è già  importante – ma si impongono parole e gesti che condannino ogni ermeneutica religiosa del terrore e della violenza (“Perché non confido nel mio arco e non sarà  la mia spada a salvarmi”, Salmo 44,6) e contribuiscano a creare le condizioni perché le spade si trasformino in vomeri e le lance in falci (Isaia 2,4), perché benignità  e verità  si incontrino e giustizia e pace si bacino (Salmo 85,10).

Per questo ci sentiamo impegnati a rafforzare il dialogo con tutti i credenti – musulmani e di tutte le fedi – pronti a condividere la ricerca e l’impegno per una convivenza vissuta nel dialogo e nella ricerca del bene comune.

Un “nuovo inizio”

Da tempo, le chiese del cristianesimo storico europeo hanno elaborato una concezione della missione distante dal proselitismo e anche più attenta a riconoscere la legittimità  della diversità  nelle chiese e tra le chiese:

“L’unità  cristiana non è solo un’unità  nella diversità  ma anche tramite la diversità ” (“L’ecumenismo e il dialogo interreligioso”, documento approvato dal sinodo 1998, § 48).

Probabilmente questo è ciò che ci distanzia di più dai fratelli di area pentecostale.

Ma a questa nuova concezione di missione – più rispettosa dell’altro e della complessità  e diversità  dell’animo umano, delle culture e delle società  – non ha corrisposto, in Europa, un risultato positivo in termini numerici o di maggiore udienza nell’opinione pubblica.

Anzi, l’Europa, Italia compresa, si analfabetizza sempre di più sotto il profilo religioso cristiano, tanto che è sempre più necessario ricostruire le fondamenta della conoscenza del messaggio evangelico e trovare parole nuove ed efficaci per testimoniare il dono della fede in Cristo che esprime una chiesa aperta, tollerante, dialogante, inclusiva, socialmente e politicamente impegnata.

Si tratta di una sfida molto urgente per la nostra chiesa e per quelle del cristianesimo storico europeo. Una sfida che richiede molto di più del “nuovo sguardo” necessario per rivedere la nostra struttura ecclesiastica.

Richiede coraggio, capacità  di visione, linguaggi adeguati e, soprattutto, una forte e personale spiritualità  radicata nella parola di Dio che sia in grado di toccare il cuore e la mente, i convincimenti e le emozioni delle donne e degli uomini di oggi.

Per il cristianesimo europeo si tratta di ricercare quello che potremmo forse definire un “nuovo inizio”.

Un nuovo inizio non partorito dalla violenza e dalla divisione (come vorrebbe una certa apocalittica religiosa o politica) ma dal dialogo e dalla riconciliazione, doni di Dio per l’intera umanità .

Ricordiamolo:
“Dio ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di forza, d’amore e di autocontrollo”.

Che il Signore ci benedica e ci guardi.

26 agosto 2016

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