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Sinodo 2018: culto di apertura

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Ecco, la mano del SIGNORE non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per udire; ma le vostre iniquità  vi hanno separato dal vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere la faccia da voi, per non darvi più ascolto. Le vostre mani infatti sono contaminate dal sangue, le vostre dita dall’iniquità ; le vostre labbra proferiscono menzogna, la vostra lingua sussurra perversità . Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la discute con verità ; si appoggiano su ciò che non è, dicono menzogne, concepiscono il male, partoriscono l’iniquità . Covano uova di serpente, tessono tele di ragno; chi mangia le loro uova muore, e l’uovo che uno schiaccia, dà  fuori una vipera.

Le loro tele non diventeranno vestiti, né costoro si copriranno delle loro opere; le loro opere sono opere d’iniquità , nelle loro mani vi sono atti di violenza. I loro piedi corrono al male, essi si affrettano a spargere sangue innocente; i loro pensieri sono pensieri iniqui, la desolazione e la rovina sono sulla loro strada. La via della pace non la conoscono, non c’è equità  nel loro procedere; si fanno dei sentieri tortuosi, chiunque vi cammina non conosce la pace. Perciò la rettitudine è lontana da noi, e non arriva fino a noi la giustizia; noi aspettiamo la luce, ma ecco le tenebre; aspettiamo il chiarore del giorno, ma camminiamo nel buio.

Andiamo tastando la parete come i ciechi, andiamo a tastoni come chi non ha occhi; inciampiamo in pieno mezzogiorno come nel crepuscolo, in mezzo all’abbondanza sembriamo dei morti. Tutti quanti grugniamo come orsi, andiamo gemendo come colombe; aspettiamo la rettitudine, ma essa non viene; la salvezza, ma essa si allontana da noi. Poiché le nostre trasgressioni si sono moltiplicate davanti a te e i nostri peccati testimoniano contro di noi; sì, i nostri peccati ci stanno davanti e le nostre iniquità  le conosciamo.

Siamo stati ribelli al SIGNORE e l’abbiamo rinnegato, ci siamo rifiutati di seguire il nostro Dio, abbiamo parlato di oppressione e di rivolta, abbiamo concepito e meditato in cuore parole di menzogna. La rettitudine si è ritirata, e la giustizia si è tenuta lontana; la verità  infatti soccombe sulla piazza pubblica, e il diritto non riesce ad avvicinarvisi; la verità  è scomparsa, e chi si allontana dal male si espone a essere spogliato.

Il SIGNORE ha visto, e gli è dispiaciuto che non vi sia più rettitudine; ha visto che non c’era più un uomo e si è stupito che nessuno intervenisse; allora il suo braccio gli è venuto in aiuto, la sua giustizia lo ha sorretto; egli si è rivestito di giustizia come di una corazza, si è messo in capo l’elmo della salvezza, ha indossato gli abiti della vendetta, si è avvolto di gelosia come in un mantello. Egli renderà  a ciascuno secondo le sue opere; il furore ai suoi avversari, il contraccambio ai suoi nemici; alle isole darà  la loro retribuzione. Così si temerà  il nome del SIGNORE dall’occidente, e la sua gloria dall’oriente; quando l’avversario verrà  come una fiumana, lo Spirito del SIGNORE lo metterà  in fuga. «Un salvatore verrà  per Sion e per quelli di Giacobbe che si convertiranno dalla loro rivolta», dice il SIGNORE. «Quanto a me», dice il SIGNORE, «questo è il patto che io stabilirò con loro: il mio Spirito che riposa su di te e le mie parole che ho messe nella tua bocca non si allontaneranno mai dalla tua bocca, né dalla bocca della tua discendenza, né dalla bocca della discendenza della tua discendenza», dice il SIGNORE, «da ora e per sempre».

Non è l’inizio della fine, ma è la fine dell’inizio. Qui c’è la risposta profetica alla prima domanda. C’è la risposta della verità  al grido muto e insopprimibile, nascosto e inevitabile: “Dove sei, Signore?… nel mondo, nella chiesa, nella vita… dove sei, Signore? Dobbiamo fare noi? Nel tuo nome, per il bene, ma dobbiamo fare tanto o tutto noi, perché tu ci hai privati della tua grazia?” Questo grido trova subito risposta; la mano del Signore non si è accorciata, da non poterti più afferrare. Il suo orecchio non è troppo duro, da non poterti più udire. Lui non è cambiato. Non è diventato meno potente, meno pubblico, e più debole e più accomodante. Dio non è cambiato. Dio è sempre la mano, la mano di potenza e di clemenza sul suo popolo.

Dove sei, Signore? La conoscenza di Dio, la contemplazione delle sue opere è coperta da un sipario di peccato. Che contamina le mani, le dita, le labbra e la lingua, un sipario che il popolo non è in grado di alzare, perché ormai fa parte del suo costume. Un magma appiccicoso di pensieri e parole dominanti, che ci contaminano in maniera pervasiva, un sipario che quindi diventa peccato culturale. E da culturale diventa peccato cultuale. Perché questa contaminazione pregiudica il rapporto con Dio, e infine peccato sociale. Dai tempi di Isaia ai nostri giorni, dalle azioni e dalle parole che rivelano i pensieri, si decadeva nell’offuscamento dell’adorazione dovuta a Dio. Un offuscamento evidente. Nel secolo scorso, Bonhoeffer scrisse: “Chi non alza la voce in favore degli ebrei, non ha diritto di cantare il gregoriano!” Non chi li odia, chi legifera, chi opera contro di loro, chi esegue gli ordini… chi non alza la voce, chi tace, chi sussurra… non ha il diritto di pregare. Il peccato culturale (“perché dovrei alzare la voce in favore degli ebrei?”) diventa peccato cultuale (il mio canto irrita le orecchie del Signore). Ai tempi di Isaia, come ai tempi di Bonhoeffer, come nel nostro tempo, era in corso una lunga crisi economica, e sappiamo quanto questi tempi sono in grado di far vacillare le anime dei popoli. Aggeo, contemporaneo di Isaia, si lamenta che il popolo “abita nelle case ben rivestite di legno, mentre il tempio del Signore è in rovina” (Aggeo 1,4). Il particolarismo egoista che si ribella alla legge. Alla legge del culto, perché il tempio non era il luogo dell’appartenenza di Dio al suo popolo, ma il luogo dell’appartenenza del popolo a Dio, era il tentativo parziale di riconoscimento in terra dei Dio che i cieli dei cieli non possono contenere. Era il segno della non autosufficienza del popolo senza Dio, della non perfezione, della non santità  del popolo senza la legge che stabiliva di adorare e amare Dio e di amare il prossimo. Senza tempio, i cui lavori erano fermi alle fondamenta, erano state erette le case ben rivestite di legno. “Faccio quello che voglio! Difendo il mio privato! Difendo l’opinione che mi dà  ragione e non la discuto con te, difendo la mia religione fai da te, tollero la spiritualità  antievangelica che giustifica il peccato e condanna i peccatori, e resto nella mia casa ben rivestita, al massimo combatto contro la verità  sulla piazza pubblica, ma non ti incontro nel tempio, non ti incontro davanti a Dio, non ti vedo e non ti ascolto davanti a un’esigenza dall’alto, dall’altissimo, di purificazione e di pentimento. No! Non mi interessa di nessun altro. Se non riesco io a finire il mese…” Ecco, così il peccato culturale e il peccato cultuale si sono uniti, e hanno generato il peccato sociale, l’ingiustizia e la violenza sdoganate, che girano a testa alta nella città  senza freno né pudore. All’inizio era il peccato culturale: egoismo, menzogna e demonizzazione dell’avversario: “La gente è stufa – condividi se sei indignato – se a te interessa degli altri, perché non te li prendi a casa tua?”, poi il peccato cultuale, con vangelini – ben chiusi – esibiti in campagna elettorale con ben altri intenti che la propria edificazione spirituale e, più in generale, con la religione degradata a simbolo identitario orgoglioso ed escludente. E infine il peccato sociale: la minaccia di chiusura dei porti agli immigrati da parte di settori del governo italiano al fine di esercitare una pressione internazionale. Fatto inaudito nella nostra Storia repubblicana. L’essere umano peccatore è incurvato in se stesso, diceva Lutero. Popoli, continenti, chiese incurvati in se stessi, senza altri orizzonti che il proprio bacino d’utenza, e intrappolati dalla consapevolezza di essere, sempre e comunque, migliori, per cui noi certi compromessi ce li possiamo anche permettere… Certo, ci sono ancora le buone intenzioni. Ma solo quelle. E sono travolte dalle cattive soluzioni. Portati per mano dal profeta in questo buio pesto, non siamo diretti alla consueta autoassoluzione, per la quale noi siamo comunque un po’ meno peggio di altri, ma grazie a Dio, perché questo è Vangelo, questo è libertà , questo è verità , grazie a Dio siamo condotti per mano alla confessione di peccato, che è vera per noi, per i membri di chiesa nominali, per i disinteressati, per gli animosi disonesti e per i vigliacchi onesti… per tutti: “Siamo stati ribelli al Signore e lo abbiamo rinnegato” (v. 13). Il profeta, che ha accusato il popolo peccatore, ora confessa assieme al popolo il peccato di ribellione a Dio. Anche noi abbiamo ascoltato soltanto chi ci dava ragione o soltanto nella misura in cui ci veniva data ragione. Abbiamo detto parole cattive anche noi, qualcuno contro qualcun altro, alcuni contro altri. Anche noi abbiamo deliberatamente escluso altri, e anche noi abbiamo voluto mollare la presa in situazioni difficili e complicate, tra sofferenze e conflitti, per evitare personalmente delle grane e per dedicare il tempo a cose più gratificanti o, quantomeno, non troppo frustranti.

Dove sei, Signore? Il Signore vede, si prepara, interviene contro i nemici e a favore del popolo, e il suo avvento scuote la terra. Quando tutto, tutto si dirigeva naturalmente verso la punizione definitiva, verso la distruzione di una cultura, di un culto e di una società  asserviti all’ingiustizia, ecco il Vangelo! Perché la risposta di Dio a tutto questo disastro non è la distruzione, ma è il regno, il regno del Messia. “Un salvatore verrà  per Sion” (v. 20). Un regno con un tempio distrutto e ricostruito in tre giorni: il corpo di Cristo (Matteo 26,61) Un regno con un tempio formato da credenti sparsi in tutto il mondo. E in quel tempio, in Cristo e nella testimonianza dei credenti, Dio parla. Un regno con una giustizia di Dio che è una giustizia donata, assegnata, imputata. Un regno con una parola chiara, certa, conosciuta, ascoltata, proclamata e sigillata nei cuori per opera dello Spirito Santo. Un regno con una legge, antica e sempre nuova: l’amore verso Dio sopra ogni cosa e l’amore per il prossimo come per se stessi. Il regno proclamato e compiuto dal Signore Gesù Cristo. Il regno che vince e che mette in fuga l’avversario arrivato come una fiumana (v. 19). Ecco la parola profetica che risponde alla lamentazione. “Dove sei, Signore?” Il Signore è e viene, Colui che era, che è e che viene, l’Onnipotente (Apocalisse 1,8). Lo puoi ascoltare. Gli puoi parlare. Gli puoi appartenere, come riscattato dall’opera di suo Figlio, e questa è la tua unica consolazione in vita e in morte. Questa è la risposta profetica alla lamentazione. Una risposta che il profeta è tenuto a dare. Una risposta che una chiesa fedele, e perciò profetica, è tenuta a dare. Una risposta in una predicazione esplicita, esplicita, del nome di Gesù Cristo, all’interno e all’esterno, con le parole e con le opere, con parole che evitino reticenze e ambiguità , e con opere che annuncino il Vangelo, libere dal ricatto morale della prestazione ( “perché se non faccio non sono, perché se non lo faccio io chi lo fa, perché il welfare si ritira…”). È una risposta all’interno, a quei membri di chiesa che non sono più raggiunti dalla predicazione e che sono la maggioranza, in Italia e in Europa, una risposta ai nostri gruppi piccoli e alle nostre chiese isolate, agli evangelici di Latina e di Felonica, che si chiedono “Fra qualche anno ci saremo ancora?”. È una risposta a tutte le nostre chiese e ai loro membri, che richiedono attenzione, ascolto, comprensione, cura, accompagnamento, formazione, consolazione, vocazione, fiducia da parte della chiesa tutta. Dobbiamo avere amore e cura delle membra di questo corpo! Le chiese e i membri hanno il diritto di sentirsi curati! Ed è una risposta all’esterno delle nostre chiese, a quanti amano il Signore da “interessati indipendenti”, e sono sempre di più, una risposta dentro e fuori, ai delusi, ai disinteressati, a quanti hanno preso la porta per uscire da chiese che hanno troppe certezze su cose inutili e troppe esitazioni su questioni fondamentali, mentre molti cercano disperatamente una parola nuova e vera, una parola viva che dia vita. “Che relazione posso avere adesso con mio figlio?” mi ha chiesto una volta una donna che aveva perso il suo unico figlio in circostanze tragiche. Riusciamo a predicare Cristo crocifisso, la morte e la resurrezione del Figlio di Dio davanti a questa domanda? O ci limitiamo, pietisticamente, a contemplarlo, senza riuscire però a proclamarlo, cioè senza riuscire a piantare il dolore di quella donna sul dolore di Cristo già  accolto da Dio, già  salvezza, perché Dio stesso comprende, accoglie, sostiene, consola quel dolore di lei proprio perché Dio salva nel dolore di suo Figlio.

Dove sei, Signore? Dio agisce, e le sue azioni, e in particolare il suo regno riguardano la nostra società . Come anche la predicazione del Vangelo riguarda la società , senza la pretesa di fare la mosca cocchiera della favola di Fedro, che si illudeva di dare ordini alla mula che tirava il carretto, e senza farsi intimidire. Scrive Giovanni Miegge: “L’Evangelo può e deve estendere le proprie motivazioni e valutazioni a tutte le sfere della vita, e non limitarsi soltanto a quella della salvezza personale o dell’attività  della Chiesa in senso specifico. Cristo è Signore non soltanto della vita interiore e del destino ultraterreno dei singoli, ma dell’uomo come tale, in tutti gli aspetti della sua umanità . Le potenze spirituali vinte da Cristo, (…), sono il doppio trascendentale delle autorità  statali, corrispondono alla idea stessa dell’umanità  politicamente ordinata. Cristo è dunque signore anche dello Stato.

Questa tesi non deve intendersi nel facile senso teocratico del dominio della Chiesa sullo Stato. Nella visione apostolica neotestamentaria la Chiesa e lo Stato hanno una missione distinta, e sono entrambi in relazione immediata con Dio, con i suoi piani, con il suo dominio. (…) Ma dal fatto stesso della incarnazione, morte e resurrezione di Cristo discendono certe fondamentali decisioni, che hanno valore non soltanto per la Chiesa, ma per ogni forma di convivenza umana. La Chiesa, che crede nella incarnazione di Cristo, ha il diritto e il dovere di ricordare anche allo Stato la dignità  di quella umanità  di cui Cristo si è rivestito. La Chiesa, che crede nella “libertà  cristiana”, deve proclamare allo Stato il valore della libertà  anche civile e politica. La Chiesa, che è una comunione di riscattati, deve prendere posizione per una concezione dei rapporti economici che non sia una patente negazione della solidarietà  umana. (…) In tal modo, senza assumere lo Stato sotto la sua tutela, la Chiesa può e deve ricordargli che il Regno di Dio è il modello supremo a cui anche la città  terrena deve ispirarsi, poiché Cristo è il Signore anche della città  terrena.”

Dove sei, Signore? E il Signore risponde, direttamente, di se stesso. (“Quanto a me…”) Dio rinsalda il patto, dona lo Spirito, affida la sua parola efficace alle generazioni di credenti. Dio è efficace dove noi siamo inefficaci. La sua parola non si allontanerà  dalla nostra bocca, ma questa è una promessa, non un possesso; tant’è che in tutta Europa avremmo urgente necessità  di rivedere il percorso di formazione all’interno della chiesa. Nonostante tanto lodevole impegno e tanti sforzi, è evidente che la nostra formazione catechetica così com’è organizzata non fidelizza all’ascolto della parola predicata e alla partecipazione alla vita nella chiesa. Questo è un punto fondamentale, perché la promessa del patto di Dio, la promessa della parola che non si allontanerà , non è interpretabile come un’infusione di scienza data per scontata o come identità  innata, ma al contrario significa catechesi permanente. Significa tornare ad essere chiese che studiano, che non limitano la formazione al primo quarto della vita terrena. Non abolire la scuola domenicale, ma far diventare il culto una scuola domenicale; non bistrattare il catechismo, ma far diventare il culto un catechismo. Non vietato ai minori di sessant’anni! La mia comunità  ha una finestra catechetica di 3 minuti al culto, prima del Credo, una breve lezione di catechismo per tutti. Non è molto, ma almeno è il segnale che siamo qui, sempre, per imparare. Investire nella formazione a tutto campo e con fiducia. Se si rivoluziona la catechesi, si rivoluziona la vita delle chiese europee. Per vedere la promessa del Signore, il dono della sua parola efficace di generazione in generazione.

Dove sei, Signore? Nel capitolo successivo il Signore si rivela con una luce che illumina Sion e che dirige ad essa tutti i popoli. Questa è la prospettiva, ma siamo ancora al capitolo precedente, al capitolo della lamentazione e della profezia. Non è l’inizio della fine, ma la fine dell’inizio. La fine di un inizio, già  visto, già  visto tante volte. L’inizio dell’umanità  che vuol essere legge a se stessa, l’inizio del popolo che vuol essere legge a se stesso, l’inizio dell’individuo che vuol essere legge a se stesso. La fine di questo inizio. La legge è di Dio, è compiuta nell’opera di Cristo, la cui giustizia è donata al peccatore. Questa è la fine dell’inizio, del peccato. La fine è il regno di Dio. Non la rivoluzione, non la reazione, non il progresso, non la conservazione. L’annuncio del Vangelo di Dio, la vera proclamazione del regno non è stata zittita nella Roma dei Cesari, e non lo sarà  nemmeno in Cina e in Corea del Nord, e non lo sarà  nemmeno nei confronti delle omissioni e dei compromessi della sua chiesa. È irriducibile e lo sarà  sempre. C’è il tempio che è il corpo di Cristo, ricostruito in tre giorni, in cielo, dove entrare e avere comunione con Dio; c’è il tempio di mattoni viventi da costruire, da curare, da aprire in terra, in tutta la terra e nelle nostre case e nei nostri luoghi; c’è il regno del Signore da proclamare. Una vocazione stupenda! Dio ci rivolge una vocazione stupenda! E in questa fine dell’inizio, la sua luce ci illumini e la sua parola ci guidi. Dolcemente se possibile, ruvidamente quando necessario. Sempre, con il suo amore e con la sua grazia.

Amen

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