In un mondo senza più gratuità, Dio si prende cura di noi chiamandoci a libertà
Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo.
Esodo 20, 17
Abbiamo iniziato questi brevi pensieri con la proibizione di “farsi scultura o immagine alcuna”. Ora alla fine passiamo dall’immagine allo sguardo che si posa sulle cose e le persone, e le desidera. Sì, tu guardi ciò che sta davanti a te e, se è allettante, stimola la tua voglia, e non avrai pace finché non sarà tuo. E intanto, mentre cresce il desiderio, il tuo occhio cambia: il mondo si fa per te realtà da possedere e rivali da combattere, perché vogliono quello che vuoi tu.
In questo senso, il modo disordinato in cui il decimo comandamento mette insieme in un unico elenco cose, animali, mogli, figli e servi, esprime in modo impressionante l’insensatezza che il prevalere della brama del possesso crea in noi e attorno a noi: ogni ordine è sconvolto, tutto è “cosificato”, comprese le persone, tutto è da possedere.
L’ultimo comandamento, allora, non è affatto l’ultimo in ordine d’importanza. È quello che col suo “non desiderare” s’oppone a un mondo senza più gratuità, e in cui chi ne ha i mezzi e la forza può guardare, bramare, possedere, senza che ci sia differenza tra esseri umani e cose: “Lo voglio e me lo prendo!” come la sola legge della vita.
Il “Non desiderare” ci chiama ad una lotta per la nostra libertà e per quella del mondo. Ci ricorda che siamo più grandi della “mercificazione globale”, perché siamo uomini e donne di cui Dio si prende cura proprio attraverso il suo “Non desiderare”, che poi alla fine vuol dire: “Non fare schiavo dei tuoi desideri né te stesso né gli altri né alcuna realtà. Io ti ho chiamato a libertà!”.