Li chiamiamo profughi, immigrati economici, richiedenti asilo ma nel linguaggio biblico sono semplicemente il nostro prossimo (Luca 10,36) dietro il cui volto si cela Dio stesso. Sono i viandanti che arrivano sotto la nostra quercia di Mamre (Genesi 18); sono i profughi che attraversano il deserto per sfuggire alla violenza di moderni faraoni; sono bambini che si sottraggono alla strage degli innocenti voluta da un Erode spietato (Matteo 2,16): sono uomini e donne assetati di giustizia che osserviamo dalla nostra collina sul lago di Tiberiade (Matteo 5,6); sono le nostre sorelle e i nostri fratelli spogliati di tutto, e ciò che facciamo a questi “minimi” è come se lo facessimo a colui che confessiamo, nostro Signore e salvatore (Matteo 25,45).
Ciò che stiamo facendo per i migranti non è un aspetto della nostra etica ma è un derivato essenziale della nostra confessione di fede. I cristiani sono impegnati in prima fila nelle politiche di accoglienza perché non possono altrimenti. Che altro dovrebbero fare? Barricare porte e cancelli? Alzare muri di divisione, magari armati di filo spinato? Chiudere occhi e orecchie ogni volta che un telegiornale annuncia una strage di immigrati che muoiono nel Mediterraneo? Lo fanno altri, strumentalizzando un dolore e un’ingiustizia infinita, nella ripetizione ossessiva di una narrazione populista e nazionalista che alimenta la paura e serve solo a far vincere elezioni politiche ma non a risolvere i problemi.
“Chi vi teme non vi ha mai guardato negli occhi né conosciuto i vostri figli” ha detto il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo I, ai rifugiati di Lesbo, l’isola greca “gemella” di Lampedusa. Ridare dignità umana a chi fugge è l’inizio di una assunzione di responsabilità , di una ricerca di soluzioni che deve impegnare tutti, ciascuno per la sua parte e per le sue responsabilità .
All’incontro internazionale di Assisi del 18-20 settembre, uno schieramento impressionante di esponenti di varie religioni del mondo e delle varie confessioni cristiane hanno unanimemente dichiarato che mai il nome di Dio può giustificare la violenza e che solo la pace è santa, mai la guerra. Lo hanno fatto senza sincretismi e senza relativizzare le loro radici e differenze, ma sono stati capaci di pregare e impegnarsi gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri. Come dovrebbe avvenire in ogni luogo del mondo.
22 settembre 2016