«Egli m’invocherà , e io gli risponderò; sarò con lui nei momenti difficili; lo libererò, e lo glorificherò».
Il Salmo 91 è uno stupendo dialogo che mette in risalto la Parola e la fedeltà dell’Eterno. La figura dell’orante può essere identificata con il popolo d’Israele: Israele abiterà al sicuro, la sorgente di Giacobbe sgorgherà solitaria in un paese di frumento e di mosto, dove il cielo stilla rugiada (Deuteronomio 33,28). Tuttavia, il testo del salmo ci permette anche di calarci nella dimensione introspettiva individuale.
Entrambe le letture mettono in evidenza due caratteristiche di questo salmo. La prima è la fiducia incondizionata di chi invoca il nome dell’Eterno. Non si tratta di una fiducia ingenua, priva di ogni fondamento. Il fondamento è la Parola chiara ed esplicita: Poich’egli ha posto in me il suo affetto, io lo salverò; lo proteggerò, perché conosce il mio nome (v. 14). La seconda caratteristica è appunto la struttura dialogica del testo. A ben vedere, le voci – e gli ascolti – che si alternano sono tre e non due. La voce dell’orante è chiaramente distinguibile; le altre due voci invece sembrano appartenere all’Eterno stesso.
Dal punto di vista puramente storico la terza voce potrebbe essere quella del liturgo che presiede una cerimonia al tempio di Gerusalemme. Personalmente, invero, sono più incline ad estendere al Salmo 91 l’interpretazione cristologica normalmente attribuita ai salmi 16, 22 e 110, in quanto citati esplicitamente dagli scrittori neotestamentari. I contenuti sono del tutto simili e la dimensione dialogica costruita su tre voci mi fanno pensare al Logos menzionato in Giovanni 1. Gesù, la Parola incarnata, rinforza la mia fiducia e mi rivela pianamente la fedeltà dell’Eterno.