«Quand’io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cos’è l’uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell’uomo perché te ne prenda cura?»
Il mondo che noi abitiamo è stato fatto a mano. Non progettato al computer, non prodotto in serie o confezionato da una stampante tridimensionale. No, è stato fatto a mano! Almeno così ci dice il salmo 8 che descrive Dio come un artigiano che con le sue mani sapienti – anzi, con le sue dita – dispone le stelle nel firmamento, come un orefice ripone i gioielli nella loro splendida incastonatura.
Ingenuo, questo modo di immaginare Dio; infantile, no? Eppure l’immagine dell’artigiano che crea il suo manufatto ci dice qualcosa di vero sul nostro mondo, qualcosa di dimenticato da imparare di nuovo.
C’è da imparare di nuovo la bellezza di un mondo in cui ogni creatura è unica e non ha eguali. C’è da imparare di nuovo quell’intreccio di perizia e passione che porta all’esistenza la trama complessa e meravigliosa della vita, dalle foreste brulicanti di creature alle pianure gentili, dai fondali degli oceani alle vette delle montagne. C’è da imparare di nuovo la gioia dell’artefice e delle sue creature, la gioia del primo giorno in cui le stelle del mattino cantavano tutte assieme e tutti i figli di Dio alzavano grida di gioia. Soprattutto, dobbiamo imparare di nuovo la cura dell’artigiano che ama la sua opera e la sua creazione. Non la sfrutta, non la depreda, non la uccide, non la riduce all’estinzione, non ne distrugge la diversità . La ama.
Forse, dopotutto, l’immagine di un mondo fatto a mano non è così banale.