«Porgi a me il tuo orecchio; affrettati a liberarmi; sii per me una forte rocca, una fortezza dove tu mi porti in salvo»
Nella liturgia delle chiese valdesi e metodiste la domenica Esto mihi o Sii per me segna da un lato la chiusura del cosiddetto tempo ordinario e dall’altro l’inizio della preparazione alle festività pasquali. Durante questo cammino di preparazione incontriamo inevitabilmente la croce di Gesù, ci confrontiamo con un complotto dei “poteri forti” contro un innocente e meditiamo la dialettica della morte e della risurrezione. Così, quasi inevitabilmente, ci vengono in mente le parole del celebre inno cristiano La forte rocca, composto da Martin Lutero nel lontano 1529: Se in questo mondo impera il mal, già pronto a divorarci, l’immenso suo poter fatal non potrà mai piegarci. Credo che questo sia anche il significato più profondo dell’invocazione dell’orante: Sii per me una forte rocca.
L’espressione ebraica hĕ·yàªh lî (sii per me) richiama chiaramente il nome dell’Eterno rivelato a Mosè in Esodo 3: ‘eh·yeh ‘ă·šer ‘eh·yeh. Nel Salmo 31 quell’essere “perfetto” rivelato a Mosè diventa l’essere “per” l’altro/l’altra. Vale a dire che un essere “in relazione” costituisce per l’orante una protezione pienamente affidabile e duratura, appunto, una rocca, una fortezza.
Nei nostri discorsi su Dio, non di rado, il suo “esistere” (o “non esistere”) occupa il posto centrale. Con questo genere di speculazione intellettuale, però, corriamo il rischio di imbatterci in “un Dio cattivo e noioso preso andando a dottrina” (Luca Carboni, “Silvia lo sai”, 1987). Scoprendo e annunciando invece un “Dio per me”, che si manifesta pienamente in Gesù e per mezzo di Gesù, possiamo dare più luce e più credibilità anche alla cara, vecchia “dottrina cristiana”.