«Essi vagavano nel deserto per vie desolate; non trovavano città dove poter abitare. Soffrivano la fame e la sete, l’anima veniva meno in loro. Ma nella loro angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro tribolazioni. Li condusse per la retta via, perché giungessero a una città da abitare. Celebrino il Signore per la sua bontà e per i suoi prodigi in favore degli uomini! Poich’egli ha ristorato l’anima assetata e ha colmato di beni l’anima affamata.»
E’ bello che a finire nella Bibbia sia stato un vecchio libro di canti. Come se noi, potendo scegliere, potessimo metterci dentro i vecchi inni della tradizione di Ginevra, le canzoni di Fausto Amodei, quelle di Gershwin, o i vecchi canti degli emigranti italiani. I versetti di oggi sono tratti dal Salmo 107, il canto dei diseredati: viaggiatori di mare e terra, prigionieri in catene, esiliati, infermi. Tutto il campionario, insomma, degli ultimi. Eppure, più che di una canzone triste, si tratta di un canto di gioia di chi ricorda, o deve ricordare, guarigione, liberazione, affrancamento. Secondo alcuni la stessa lista di ultimi che ispirò la redazione dei racconti di Marco 4-8, con la tempesta sedata, l’indemoniato di Gerasa, la guarigione della figlia di Giairo, la prigionia del Battista, la moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Questi versetti, nella loro crudezza, sono molto attuali: parlano di chi viaggia inseguito da un destino di guerra e povertà alla ricerca di una città dove abitare. Come non pensare alle decine di migliaia di persone che premono alle frontiere d’Europa, dopo viaggi terribili, che non hanno trovato di meglio che affidarsi a trafficanti che li sfruttano? Vogliamo davvero lasciare che a rispondere al loro grido di afflizione siano le mafie del traffico di esseri umani e i fili spinati d’Europa?
Oggi il Signore agisce per loro e chiede a noi di fare altrettanto. Rivolgiamo a Lui la preghiera che la città sicura di cui parla il Salmo possa essere la nostra.