“Benedici, anima mia, il Signore e non dimenticare nessuno dei suoi benefici”.
“Egli si ricorda per sempre del suo patto, della parola da lui data per mille generazioni”.
I due passi che ho messo a confronto mettono in evidenza due aspetti dell’opera di Dio nella realtà che l’uomo abita: l’intervento nella grande storia, nel destino dei popoli e delle nazioni, l’intervento nelle piccole storie degli individui, della gente comune. In modo curioso questi due aspetti, tanto lontani e tra loro quasi inconciliabili, nella concezione della storia che caratterizza la Bibbia sono visti in continuità. Il rapporto tra Dio e il popolo comincia con un rapporto strettamente personale tra Dio stesso e i patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe cui il Signore fa delle promesse: una grande discendenza, una terra, la sua benedizione e una costante presenza benevola, attiva e fattiva. Nell’uno e nell’altro caso gli interventi di Dio, nelle vicende del popolo e in quelle private e personali dei singoli, sono alla base della fiducia che egli interverrà ora come in passato in favore del popolo o del singolo. Più che nella prospettiva moralistica, francamente fastidiosa, del monito a non essere ingrati e a ricordare con riconoscenza i benefici ricevuti, mi sentirei piuttosto di intendere il passo come un invito alla gratitudine fiduciosa per una presenza del Signore nelle nostre esistenze nella certezza, indipendentemente dalla nostra effettiva capacità di comprenderlo, che “tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio …” (Romani 8:28). Non tutto ciò che il Signore fa risponde ai nostri criteri di opportunità, giustizia e bene, ma, al di là dei tentativi di spiegare l’inspiegabile, ciò che conta è accogliere con rispetto e riconoscenza la sua opera in nostro favore secondo quanto ci insegna l’Ecclesiaste: “ … io so che il bene è per quelli che temono Dio, che provano timore in sua presenza” (Ecclesiaste 8:12).