«Benedici, anima mia, il Signore e non dimenticare alcuno dei suoi benefici»
Il versetto è noto soprattutto perché utilizzato da molti come preghiera a tavola: esso ci viene oggi presentato come motivo conduttore liturgico e spirituale della 15a domenica dopo Pentecoste e della settimana che con essa si inizia. Ciò significa che le letture bibliche previste dal lezionario riportato da Un giorno, una parola per domenica 6 settembre sono, almeno nelle intenzioni, sintonizzate sulla lunghezza d’onda di questo versetto; e lo stesso accade per il primo dei passi biblici proposti giorno per giorno (nel nostro caso: II Timoteo 1,1-6[7]; Giovanni 9,24-38 [39-41], ecc.), con l’eccezione del venerdì, che vede sempre un brano tratto dai racconti della Passione.
Il «tema» indicato è, evidentemente, la gratitudine. Ma un testo biblico non è mai riducibile a un «tema», a maggior ragione se si tratta di una preghiera. L’asse del versetto è costituito dai due imperativi, Benedici e non dimenticare. Il loro rapporto è assai più profondo del semplice accostamento, a prima vista suggerito dalla congiunzione «e»: la memoria è la sorgente della gratitudine che benedice il Signore. Si tratta di una struttura caratteristica dell’intera Bibbia: la presenza di Dio è riconosciuta guardando al passato e ciò permette la gratitudine, dalla quale nasce il futuro. L’insieme del Salmo, poi, evidenzia che oggetto di memoria e fonte di gratitudine è anzitutto il perdono di Dio.
Ebbene, secondo la Scrittura (assai indicativo, al riguardo, il testo proposto per la predicazione della domenica in questione, Luca. 17,11-19) «non dimenticare» i doni di Dio non è cosa spontanea. Il peccato umano si nutre di una caratteristica «amnesia», che può essere superata solo con un esercizio meditativo. Nemmeno il salmo può ordinare di essere grati, ovviamente. Esso ordina di ripercorrere il passato, nella disponibilità a riconoscere l’opera di Dio in esso. Ciò non è tutto, nella vita di fede: ma non è esagerato affermare che tutto comincia da qui.