«Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di filiazione, nel quale gridiamo: “Abbà ! Padre!”»
Siamo abituati ad attribuire il titolo “Figlio di Dio” principalmente a Gesù. L’affermazione di Paolo che la figliolanza divina sia una dimensione relazionale ampia e inclusiva non è facile da comprendere. Quasi istintivamente tendiamo a distinguere tra la figliolanza naturale (quella di Gesù) e adottiva (la nostra). Tuttavia, nel nostro versetto tale distinzione non è l’argomento centrale. L’attenzione dell’apostolo si concentra sulle azioni dello Spirito di Dio. E le sue azioni sono tre: guidare, rendere figli di Dio (gr. pneuma huiothesias) e suscitare un grido di gioia. In questi versetti possiamo ritrovare un’allusione al cammino dell’Esodo, che portava dalla schiavitù alla libertà , dalla sottomissione alla parità dei diritti e dei doveri.
Già adesso – e non in un futuro lontano – sono figlie e figli di Dio coloro che si muovono sotto la guida dello Spirito. Essere figlie figli di Dio, tuttavia non è riducibile a una qualità statica e acquisita più o meno magicamente. Nemmeno si tratta di uno status giuridico. Si tratta di un nuovo cammino di vita, aperto e sostenuto dall’azione potente dello Spirito. Tale azione rispetta tuttavia la libertà dell’essere umano. Lo spirito di Dio non si impone, ma si propone, resta sempre a diposizione della persona credente e della chiesa tutta. Lo Spirito ci guida verso i traguardi fissati dalla Parola di Dio affinché possiamo diventare pienamente liberi di gridare, con fiducia e con gioia: “Abbà , Padre”.