«Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi»
L’antica frase latina Do ut des (io do affinché tu dia) non ha perso affatto la sua importanza. Il suo senso traslato può essere espresso in questi termini: «scambiamoci le cose in maniera ben definita». C’è un aspetto positivo in tale interpretazione dell’antico detto. Il diritto civile stabilisce con precisione i termini contrattuali per ogni scambio legale di beni o di servizi. Così – almeno in teoria – nessuno rimane senza tutela di fronte al possibile rischio di frode o di estorsione.
I problemi cominciano quando un’applicazione letterale di questo detto latino entra nell’ambito relazionale. La sua attuazione rigida, di solito, segna l’inizio della fine di una relazione; non importa se si tratti di una relazione d’amore, d’amicizia o di collaborazione volontaria. La scomparsa della gratuità equivale alla morte di un rapporto costruito sulla mutua accoglienza e sulla reciproca fiducia.
L’affermazione dell’apostolo Paolo espressa chiaramente nella Lettera ai Romani 5,8 demolisce tutti questi paradigmi. Una demolizione che diventa liberazione. Si tratta del trionfo della gratuità e dell’unilateralità . L’amore (agape) si espone al rischio di essere respinto. Non cerca tutele legali, non pone condizioni preliminari, ma si dona senza chiedere nulla in cambio. Contemplando in questo tempo della Passione la croce di Cristo, lasciamoci trasformare dall’Amore puro e senza pretese.