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Riformulare la fede dei padri

Una riflessione sul senso dell’Epifania

Isaia 60,1-3

Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta,
e la gloria del Signore è spuntata sopra di te!
Infatti, ecco, le tenebre coprono la terra
e una fitta oscurità avvolge i popoli;
ma su di te sorge il Signore
e la sua gloria appare su di te.
Le nazioni cammineranno alla tua luce,
i re allo splendore della tua aurora.

Isaia 60,1-3

Un inno a Gerusalemme, questo di Isaia, rivolto non al cumulo di macerie che ne restava dopo la vittoria dei Babilonesi, ma alla Gerusalemme futura, che gli Israeliti, reduci da cinquant’anni di esilio in Babilonia, avrebbero dovuto ricostruire. Il profeta dice che essa risplenderà, poiché su di essa sarebbe sorta una luce che avrebbe guidato i capi stessi del mondo, i re. E tutti si sarebbero rivolti nella sua direzione, tutti sarebbero andati verso Gerusalemme.

Non era un artificio retorico per invogliare il popolo d’Israele a ritornare nella terra dei padri, ricompattandosi contro chi li aveva sconfitti; si trattava invece di una vera e propria riformulazione della fede israelitica, di un’apertura alle nazioni. Queste non verranno “sconfitte” da Israele, non verranno “trascinate” a Gerusalemme, vinte con armi e stragi: cammineranno spontaneamente per adorare e seguire la luce che su di essa sorge.

La luce non è Gerusalemme e non è il popolo d’Israele: questi si limitano a risplendere, come un brillante o uno specchio. La luce spunta invece su Gerusalemme, ed è la gloria del Signore, la presenza stessa di Dio. Non è la nuvola o la colonna di fuoco dei tempi di Mosè né il braccio del Signore, teso a schiacciare i suoi nemici. A dissipare le tenebre che avvolgono i popoli, facendoli convergere a Gerusalemme per adorare il Signore, è invece la tenue luce dell’aurora – il sorgere di un tempo di salvezza e di grazia che, da Israele, si sarebbe dovuto estendere all’umanità intera.

Che nazioni grandi e potenti vengano descritte come in cammino per proclamare le lodi del Dio d’Israele, significava che le promesse da Dio rivolte al suo popolo erano estese a tutti i popoli. La fede ebraica era per così dire riformulata, “aggiornata” in seguito all’accadere della storia: Israele restava il popolo eletto, ma Dio diventava il Signore, il Salvatore di tutte le nazioni.

Riformulare la fede, leggendo il senso profondo del presente alla luce della Parola di Dio, è qualcosa che è accaduto più volte nella storia. Si pensi al Concilio di Nicea; o al sorgere della Riforma protestante; più recentemente al Secondo Concilio Vaticano, quando la Chiesa cattolica romana intese operare appunto un “aggiornamento” della fede, per darle una possibilità di crescita anche nel variegato mondo contemporaneo. Uno dei documenti più significativi era intitolato: Lumen gentium, luce delle nazioni. Anche qui, il lumen non era la chiesa stessa, bensì «la luce del Cristo, che risplende sul volto della Chiesa», per annunciare il Vangelo a ogni creatura.

In Isaia, la riformulazione della fede ebraica assumeva i tratti di un manifestarsi – una “epifania” – di Dio. La gloria del Signore è descritta con l’immagine della luce che rischiara le tenebre, poi ripresa da più di un autore del Nuovo Testamento. Alle immagini successive – il pellegrinaggio delle nazioni a Sion, guidate dalla luce come di un astro e, più avanti, gli stranieri che portano oro e incenso per adorare il Signore – s’ispirerà l’evangelista Matteo nel descrivere il viaggio dei Magi d’Oriente, dei saggi stranieri, verso il chiarore divino, verso il Cristo. La fantasia popolare cristiana, sempre seguendo Isaia, li chiamerà «i re».

La venuta di Gesù fu considerata dai suoi discepoli – i futuri cristiani – una epifania di Dio, il definitivo compiersi e manifestarsi di ciò che Isaia aveva profetizzato nel parlare di Gerusalemme. Anche in questo caso, la fede dovette essere riformulata alla luce di quanto accaduto. Ciò finì poi per dar luogo a una nuova religione – il cristianesimo appunto – non di per sé opposta alla fede ebraica, ma un passo oltre. E quel passo, reso possibile dalla morte e risurrezione di Gesù, permise ai cristiani di riconoscere in lui il Cristo, il Salvatore non solo del suo popolo ma del mondo stesso – e alla fede, di aprirsi pienamente ai popoli, come profetizzato da Isaia: di diventare insomma non più soltanto la fede d’Israele, bensì la fede cattolica, universale, riguardante l’intera umanità.

Quando Dio si manifesta, la fede va riformulata, “aggiornata”, come lo fu nelle profezie di Isaia, negli scritti del Nuovo Testamento, nelle confessioni di fede che sempre scandirono i momenti cruciali della storia. L’epifania di Dio non avviene sempre in momenti di pace e concordia, neanche oggi. Come non ricordare la “Dichiarazione teologica di Barmen” del 1934 e la Chiesa confessante? Tuttavia la persona di Gesù Cristo ci attesta che, pur nel fallimento e nella morte anche fisica di ogni certezza umana, Dio manifesta la sua vittoria, offrendo per grazia al mondo la salvezza. Questo siamo chiamati e chiamate ad annunciare e a vivere anche ora, riformulando la fede dei padri alla luce dell’alba divina che sorge.

Ci dia il Signore di affrontare con gratitudine e gioia l’anno che incomincia, sapendo che in Gesù Cristo gli orizzonti di Dio sono più grandi dei nostri confini, il coraggio di Dio è più forte delle nostre paure, e la luce di Dio è sempre più chiara delle nostre tenebre.

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