La rubrica “Un pensiero in libertà” del pastore Marco Di Pasquale
Il termine “individuo” significa: non divisibile. Nel nostro ambito, dice che ogni essere umano è distinto da qualsiasi altro, identico a se stesso, unico e unitario: è e resta quellʼindividuo in ogni istante della sua vita, anche nel suo crescere e mutare. Non è un semplice soggetto astratto che si limita a pensare, ma è sempre anzitutto un individuo concreto: è “questo” singolo animale razionale, che pensa, sì, ma anche fa certe cose e non certe altre, è sensibile a determinate cose o ad altre, con il suo carattere e la sua particolare storia. Lʼessere umano è allora definibile come individuo finché sia possibile raccontarne appunto una storia. In tal senso siamo essenzialmente animali “storici”: la nostra individualità e concreta identità trovano senso solo narrativamente.
Nella modernità, anche come riflesso del metodo scientifico di analisi della realtà e dellʼatteggiamento indagativo di fronte al mondo, prende il sopravvento un modo dʼintendere lʼessere umano che distingue in modo netto, tendendo a separararli, gli aspetti individuali di ciascuno e ciascuna dallʼessenza umana universale. La coscienza, non tanto quella morale concernente lʼagire ma la pura consapevolezza neutra di sé e delle cose, viene considerata come il nócciolo stesso dellʼessere umano, mentre tutto il resto della sua concreta esistenza viene abbassato al rango di oggetto della coscienza, magari degno di studio.
Anticamente quelle opposte dimensioni dellʼessere umano erano connesse da ampie strutture narrative (la Bibbia, lʼepica classica): lʼindividuo era parte di una storia che lo riguardava ma che non si esauriva in e con lui. Lʼidentità personale, il senso della sua storia, proveniva da qualcosa che era cominciato prima, in cui egli si inseriva e che sarebbe continuato dopo di lui, come unʼeredità consegnatagli che avrebbe trasmesso ad altri arricchita della propria storia individuale. Poteva essere individuo senza dover ottenere la pienezza di sé nella sua breve vita per non fallire ogni cosa.
Oggi la risposta al bisogno di senso ricade interamente sugli individui, privati di un senso globale. Ridurre il mondo alla dimensione individuale o poco più, badando alla sola narrazione della propria vita per come si riesce a raccontarsela, sembra l’unica via di sopravvivenza. Dal proprio successo o insuccesso dipende però la sensatezza stessa di tutto.
Forse, quella storia in cui un Altro ha portato gratuitamente il peso dei nostri fallimenti e ha trionfato per noi non era poi male… Buon Natale.
