Appuntamento con la rubrica “Un pensiero in libertà” del pastore Marco Di Pasquale
“Se Dio non esiste, allora tutto è possibile, tutto è lecito”. È la tesi di Ivan, uno dei tre fratelli Karamazov, nellʼomonimo romanzo di Dostoevskij. Questa frase, benché formulata nel tardo Ottocento, è una sintesi profetica della nostra epoca attuale. Non si tratta soltanto del comportamento morale individuale – il quale anzi, diremmo oggi, proprio grazie al fatto che il Dio della tradizione viene relegato in un indistinto spazio siderale, va liberandosi di una serie di diktat sociali e di tabù oppressivi, spesso violenti. Emerge qui piuttosto una considerazione globale sul significato dellʼesistenza umana e dei suoi esiti, in un mondo senza Dio.
Quella frase, capovolta, suona così: se e poiché tutto è possibile, allora Dio non esiste e tutto è lecito. Si rivela cioè come il principio di fondo che giustifica, ad esempio, le industrie di qualunque genere nel loro produrre qualsiasi cosa. Tutto ciò che è possibile, per il solo fatto che lo sia, diventa prima o poi lecito, viene a coincidere con il lecito. Sì, certo, ci sono le leggi. Ma sono leggi umane, non vigono in modo assoluto. E dalla liceità si passa al diritto: ciò che è lecito è un diritto. Addirittura un dovere: quello di esercitare la propria libertà. Devo fare ciò che mi è possibile fare, altrimenti lo faranno altri e io ne perderò la possibilità. Perché la possibilità è potere – e cioè libertà, la quale giustifica tutto. Una libertà ormai solo umana, divenuta il sigillo dellʼassenza di Dio.
“Fare ciò che si può” nel proprio agire morale – un tempo condizione minima da adempiere per non provare rimorso nella propria coscienza – si rivela oggi unʼespressione ambigua. Cogliere indiscriminatamente ogni possibilità e realizzarla: questo diventa il senso del nuovo comandamento planetario.
Si potrebbe dire che, da quando il Dio di Mosè è scomparso, da quando non abita più la nostra vita quotidiana, vige il comandamento di Qohelet: «Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze» (Eccl. 9,10). La produttività umana, la realizzazione di tutto il nostro possibile, purché sia, sul piano individuale e su quello generale, fino agli attuali orrori, è rimasta la sola, cieca speranza di senso nella vita, ora che dal cielo giunge soltanto la indecifrabile eco del Big Bang. Perché «tutto è vanità», dice lʼEcclesiaste.
Riscoprire invece il Dio di Gesù Cristo, del fallimento gratuitamente salvifico, di contro alla folle rincorsa del possibile a ogni costo, è oggi necessario. Per la vita.
