«Parole di Augur: Certo, io sono più stupido d’ogni altro e non ho intelligenza d’un uomo. Non ho imparato la sapienza e non ho la conoscenza del Santo. Chi è salito in cielo e n’è disceso? Chi ha raccolto il vento nel suo pugno? Chi ha racchiuso le acque nella sua veste? Chi ha stabilito tutti i confini della terra? Qual è il suo nome e il nome del suo figlio? Lo sai tu?»
Chi scrive queste righe è un cinico ateo – dicono alcuni commentatori. Motivano quest’affermazione paragonando lo stile di queste parole ai testi mesopotamici di carattere cinico. Sembra che Augur metta in dubbio che i profeti e i saggi tradizionali possano avere una speciale conoscenza di Dio, rivelata da Lui stesso in modo particolare.
Ci si può chiedere, però, se queste parole non siano una saggia espressione di umiltà , invece di un cinismo ateo. Chi sa se le domande “Chi ha raccolto il vento nel suo pugno? Chi ha racchiuso l’acque nella sua veste?” non siano espressioni di una persona che è sopraffatta dalla bellezza dell’universo.
Augur sarebbe poi una persona umile che rimane a bocca aperta, contemplando le meraviglie della creazione, e ne trae la conclusione che l’intelligenza umana è troppo limitata per cogliere la saggezza di Dio, che ha creato il macrocosmo e il microcosmo.
Nel turbinio delle nostre giornate, questo proverbio ci invita a fermarci a contemplare il cielo azzurro sopra le montagne innevate e ad ascoltare il muggire del mare per poi meditare sulle mani che hanno creato la terra ed il cielo.
Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma questo è un invito alla teologia naturale.” Può darsi. La letteratura sapienziale dell’Antico Testamento, però, non prova riluttanza nei confronti di un avvicinamento a Dio attraverso la contemplazione dell’opera creatrice del Signore. Dio stesso invita Giobbe a meditare sulla sua creazione e gli fa comprendere che la bellezza dell’universo rimanda alla grandezza del Creatore, che in fin dei conti non può essere compreso da noi in nessun modo.