«Anche ridendo, il cuore può essere triste. E l’allegrezza può finire in dolore.»
La prima parte del proverbio esprime un’esperienza abbastanza diffusa: c’è una differenza fra ciò che facciamo vedere agli altri e ciò che proviamo nei nostri cuori. Facciamo vedere una faccia da clown o un viso sorridente, ma dentro di noi sperimentiamo dolore o tristezza. Assumendo un viso sorridente, pur provando tristezza, non possiamo condividere ciò che ci pesa sulle spalle. Ci ritiriamo nel nostro guscio della chiocciola, provando un senso di solitudine. Non siamo, però, da soli. Condividiamo quest’esperienza con le generazioni che hanno tramandato i Proverbi fino ad oggi. Abbiamo anche una consolazione che va oltre il conforto umano. Dio stesso guarda dietro le nostre maschere con uno sguardo comprensivo e caloroso.
La seconda parte del proverbio potrebbe essere espressione di sobrietà , un atteggiamento descritto anche dall’Ecclesiaste: “Per tutto vi è il suo tempo; vi è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo, un tempo per ridere e un tempo per piangere.” Sarebbe invece un atteggiamento pessimista o perfino catastrofista se non ci godessimo il bene di oggi, meditando sempre su ciò che potrebbe accadere di male nel domani. La letteratura sapienziale ci incoraggia: “Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo. Ho riconosciuto che non vi è nulla di meglio per loro del rallegrarsi e del procurasi del benessere durante la loro vita, e che se uno mangia, beve e gode del benessere in mezzo a tutto il suo lavoro, è un dono di Dio.”
La letteratura sapienziale ci invita a goderci i momenti sereni ed allegri perché anch’essi sono creati da Dio. Siamo invitati a goderci la vita senza anticipare tutte le catastrofi possibili nella nostra fantasia.