“Il saggio ascolterà e accrescerà il suo sapere; l’uomo intelligente ne otterrà buone direttive per capire i proverbi e le allegorie, le parole dei saggi e i loro enigmi”.
Di recente mi è capitato di sfogliare una Bibbia Diodati, stampata a Londra nel 1848 (formato tascabile). Lo stato di conservazione abbastanza integro porta alla conclusione che non sia stata particolarmente utilizzata.
La mia attenzione viene attirata da alcune sottolineature a matita nel Libro dei Proverbi. La serie di queste meditazioni sarà pertanto ispirata ai versetti che l’anonimo proprietario della Bibbia evidenziava. Quali siano state le condizioni spirituali o il momento in cui questi versetti vennero evidenziati non sembra riscontrabile. Si tratta di testi senza una coerenza tra loro, almeno ad una prima lettura. D’altra parte il Libro dei Proverbi affianca diversi aspetti ed esperienze di vita allo scopo di aiutare a discernere ed assumere decisioni personali che tuttavia hanno una ricaduta sulla vita della comunità .
Non è facile orientarsi tra i vari detti, proprio perché non strettamente collegati e coerenti fra loro. È difficile anche cogliere il contesto di cui sono espressione, perché non definito: per questo ad una prima lettura queste parole possono lasciarci indifferenti. E inoltre anche le sottolineature del nostro anonimo lettore non ci sono di grande aiuto. Abbiamo una sola possibilità per accedere a questi testi, ovvero quella di farne una rivisitazione attraverso un racconto che dia loro la possibilità di rianimarsi e in qualche modo di tornare a parlarci.
Mi è capitato recentemente, al ritorno da un incontro ecumenico in Val Seriana, di parlare di cinema con un sacerdote. Ricordavamo, tra le altre cose, alcune omelie pronunciate dal personaggio di Tom Brittney, nella serie televisiva di Grantchester, in particolare di fronte ad un pubblico molto ridotto presente ad un funerale.
“Sarà capitato anche a lei di trovarsi in situazioni analoghe?” domandai. Non vi fu alcuna risposta. Nel viaggio di ritorno verso casa con un altro interlocutore compresi almeno in parte le ragioni di quel silenzio e sebbene in quell’occasione non avessi dato consigli, non ho smesso di interrogarmi.
Quella pausa rivelava un dolore, una separazione angosciosa vissuta nella solitudine, e proprio quel silenzio mi ha insegnato che l’ascolto ha un valore in se stesso e non è richiesta necessariamente una integrazione verbale per “apprendere i significati e i problemi dei sapienti”.