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Protestanti: quale ruolo per le Chiese dell’Europa sud-occidentale?

Un incontro a Parigi tra la Conferenza delle chiese europee (KEK) e le Chiese protestanti del sud-ovest europeo

Qual è il ruolo delle Chiese dell’Europa sud-occidentale nella missione della Conferenza delle chiese europee (KEK)? E in che cosa consiste questa missione? Di questo hanno parlato a Parigi il 16 e il 17 gennaio per la Chiesa protestante unita di Francia Emmanuelle Seyboldt, presidente, e Ulrich Rüsen-Weinhold, responsabile delle relazioni ecumeniche internazionali, per l’Unione delle chiese protestanti di Alsazia e Lorena, la presidente Isabelle Gerber, per la Chiesa evangelica spagnola il presidente Alfredo Abad, per la Chiesa evangelica presbiteriana del Portogallo la segretaria generale Maria Eduarda Titosse e chi scrive per le Chiese valdesi e metodiste in Italia. Per la KEK erano presenti il segretario generale Frank-Dieter Fischbach e Claire des Mesnards, membro del Governing Board.

Cos’è la Conferenza delle chiese europee, abbreviata in italiano con l’acronimo KEK, per evitare di confonderla con il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC)? È una comunità di 115 chiese protestanti, ortodosse, anglicane e vetero-cattoliche europee, che si è sempre occupata dei rapporti tra le chiese e le istituzioni dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa. I suoi punti più alti sono state (in collaborazione con il cattolico romano Consiglio delle Conference episcopali d’Europa) le assemblee ecumeniche di Basilea, Graz e Sibiu, e la firma della Charta Oecumenica nel 2001. Negli ultimi anni l’organizzazione si è ristrutturata soprattutto per ragioni economiche, ovvero ha dovuto ridurre drasticamente le proprie attività e rappresentanze.

L’incontro di Parigi nasce proprio perché in questo contesto le chiese dell’Europa sud-occidentale sono state sotto-rappresentate negli ultimi anni, causando incomprensioni, in particolare, riguardo al disimpegno della KEK dalla Commissione delle chiese per i migranti in Europa e dalla Rete cristiana europea per l’ambiente (ECEN). Migrazioni e crisi climatica sono, infatti, temi che fanno parte delle preoccupazioni quotidiane delle chiese del sud-ovest.

L’incontro è stato fraterno, franco e cordiale. In altre parole è stato come avrebbe dovuto essere e, in tempi di testarde contrapposizioni, va rilevato che non è cosa da poco.

I temi in discussione sono, dunque, stati: come mantenere un alto livello di rappresentatività che sia economicamente sostenibile; come la KEK affronterà le questioni legate ai migranti e all’ecologia; come la KEK può proseguire il lavoro con il Consiglio d’Europa e con la Corte Europea dei Diritti Umani, visto che una parte del continente non fa parte dell’Unione europea.

Chiaramente questi sono temi che richiedono lunghe riflessioni e frequenti occasioni di incontro tra i rappresentanti delle diverse chiese. Una proposta concreta che è stata fatta è di rendere statutaria la rappresentanza di tutte le otto regioni europee della KEK almeno nella commissione nomine, che è il luogo dove le rappresentanze sono pensate con cura.

È stato posto l’accento sul fare in modo che i processi decisionali siano sempre pensati come il cuore del lavoro della KEK, mentre, come anche capita fuori dal contesto prettamente ecclesiastico, il principio fondamentale della sostenibilità economica ha fatto dimenticare che cosa vogliamo sostenere economicamente. Per questo è necessario creare le condizioni affinché tutte le 115 chiese possano ascoltare e farsi ascoltare.

Il dialogo tra le chiese è importante perché anche all’interno di una stessa famiglia confessionale ci sono posizioni differenziate su temi cruciali. Ad esempio, sul tema della “pace giusta” (centrale nell’azione della KEK in questi anni) ci sono chiese protestanti radicalmente pacifiste e altre che la pensano diversamente: senza la KEK non esiste un forum dove queste posizioni possano incontrarsi, conoscersi e ascoltarsi. A tal proposito, è stato ricordato che per la prima volta nella sua storia l’Unione europea ha nominato un commissario alla difesa.

Inoltre, si è tenuta un’interessante discussione sulla questione della sicurezza, così centrale per ottenere consenso politico in Europa, ma non solo. Per un cristiano, una cristiana, è possibile ridurre il concetto di sicurezza all’uscire per strada senza subire reati? O non vi è un concetto più ampio, più spirituale, più esistenziale del “sentirsi sicuri/al sicuro”? Certo è difficile parlare di questo tema con le istituzioni europee dal momento in cui chi capitalizza elettoralmente sulla sicurezza non ha alcun interesse a mettere in discussione i termini della questione, pena la perdita del potere. Allo stesso tempo, le chiese che vivono nella società, anzi ne fanno parte, non possono subire la seduzione delle tendenze securitarie.

Chiaramente una riunione come questa non risolve i problemi del mondo, ma si tratta comunque di un momento prezioso di condivisione e di costruzione di una relazione tra le chiese che sia fondata sulla comune chiamata a testimoniare l’amore di Cristo nel contesto in cui viviamo.

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