Il presidente Schlumberger: “Una testimonianza vivente resa all’Evangelo di Gesù Cristo è una testimonianza su ciò che viviamo e non su ciò che altri hanno vissuto”.
Dopo aver vissuto un processo di unione tra le Chiese luterane e riformate, la Chiesa protestante unita di Francia intende ora dotarsi di una nuova dichiarazione di fede, capace di enunciare con un linguaggio semplice le convinzioni fondamentali condivise dai suoi membri. Nel primo semestre del 2016 ciascuna comunità verrà consultata per discutere e lavorare al progetto. Nell’autunno del 2016 i sinodi regionali si pronunceranno a loro volta prima dell’adozione formale che dovrebbe avvenire nel Sinodo del 2017. Un iter complesso che non mancherà di coinvolgere anche i partner internazionali della Chiesa protestante unita, tra cui la Chiesa valdese. Gli stimoli e impulsi costruttivi che emergeranno da questo lavoro saranno molti. Del resto una dichiarazione di fede non avrebbe senso se non scaturisse dalla base stessa delle chiese. Ne abbiamo parlato con il pastore Laurent Schlumberger, presidente del Consiglio nazionale della Chiesa protestante unita di Francia.
Presidente, come è nata l’esigenza di adottare una nuova dichiarazione di fede?
L’unificazione di due o più chiese normalmente avviene al termine di un processo di discussione e di compromesso teologico, dottrinale ed ecclesiale. La creazione della Chiesa protestante unita di Francia, avvenuta nel 2012-2013, è invece il frutto di una dinamica inversa.
Il fondamento teologico di questa creazione è quello della Concordia di Leuenberg. La Chiesa evangelica luterana e la Chiesa riformata di Francia, firmatarie della Concordia, hanno constatato che erano in piena comunione. Esse hanno preso atto di come, in numerosi campi, quali il lavoro giovanile e la diaconia, la cooperazione missionaria e la formazione teologica dei pastori, la loro collaborazione concreta confermava questa piena comunione. E a quel punto esse si sono dette: possiamo, e conseguentemente dobbiamo, realizzare l’unione completa delle nostre due chiese. Sarà poi questa unione che permetterà di fare nuovi passi in avanti. Non si tratta tanto di metterci d’accordo e procedere, quanto piuttosto di procedere ed approfondire il nostro accordo.
La redazione di una dichiarazione di fede non rappresentava dunque una premessa all’unificazione. Essa è uno dei frutti di questa unione. E’ per questo che, quattro anni dopo la creazione della Chiesa protestante unita, ci impegniamo in tale ambito.
Quali sono i contenuti principali della nuova dichiarazione? Come si rapportano a quelli della dichiarazione di fede della Chiesa riformata di Francia, approvata nel 1938, e alle confessioni di fede e al Credo della Chiesa primitiva?
Nel 1938 esistevano in Francia numerose Chiese riformate, diverse sensibilità teologiche e spirituali. La ricomposizione dell’unica Chiesa riformata di Francia fu il frutto di negoziazioni tra queste diverse chiese e la dichiarazione di fede ne costituì in qualche modo il patto. Si tratta di ottanta anni fa. Se il cuore della nostra fede non è cambiato – l’Evangelo di Gesù Cristo è certamente lo stesso! – il contesto nel quale la chiesa è chiamata a vivere la missione che le è stata affidata è molto diverso. E’ questo fatto che ci porta a cercare di riformulare per l’oggi il cuore di ciò che crediamo.
Una dichiarazione di fede non ha come vocazione quella di rimpiazzare le confessioni di fede della Riforma, e ancora meno i grandi simboli ecumenici. Soprattutto, nel protestantesimo, essa è sottomessa in ultimo alle Scritture bibliche che sono la fonte, il riferimento e la critica delle nostre proprie espressioni.
Quali saranno i suoi contenuti? Non ne so ancora nulla! Certamente un gruppo di teologi, seppur diversi fra loro, si troveranno insieme per avviare la riflessione delle chiese locali e dei sinodi. Ma saranno proprio le chiese e i sinodi che proporranno, modificheranno, decideranno. Soprattutto, nessuno sa prima se la dichiarazione di fede sarà feconda o no, in quale misura essa costituirà davvero un riferimento, quale sarà la sua durata: tutto questo dipende dall’azione dello Spirito di Dio.
C’è qualcosa nel panorama sociale, culturale e politico attuale che rischia di minare il contenuto della fede così come ci è stata trasmessa?
Paragono volentieri una dichiarazione di fede a una sorta di “teologia tascabile”. Qualcosa che si ha con sé, alla quale si può facilmente fare riferimento, che sostiene la memoria, la parola, l’impegno. Ai miei occhi è proprio questa la principale posta in gioco della dichiarazione di fede alla quale stiamo lavorando: sostenere la nostra testimonianza, personale e comunitaria, in un contesto dove è più difficile e più necessario essere testimoni dell’Evangelo di Gesù Cristo.
E’ più difficile essere testimoni dell’Evangelo in un tempo in cui la secolarizzazione si trasforma non solo in ignoranza ma anche, spesso, in sospetto. Ma è tanto più necessario essere testimoni quanto non ci si può più accontentare di riferirsi a una tradizione o a un’istituzione. I nostri contemporanei, compresi noi stessi, non vogliono più dei dispensatori di “ricette su misura” per credere o per pensare ma sono assetati di autenticità , sono alla ricerca di testimoni che osino esporsi esprimendo ciò che li fa vivere, incespicare, rialzarsi. E’ per questo che non possiamo solamente rimandare a delle espressioni del passato. Dobbiamo fare lo sforzo di riformulare questa eredità con delle parole che abitiamo, che producano senso per noi oggi e che possiamo condividere con altri. Una testimonianza vivente resa all’Evangelo di Gesù Cristo è una testimonianza su ciò che viviamo e non su ciò che altri hanno vissuto.
E’ il senso dell’orientamento di fondo della nostra chiesa che vuole, di più e meglio, diventare “una chiesa di testimoni”. In questa prospettiva, redigere tutti insieme una dichiarazione di fede, è una sorta di esercizio pratico (in sostanza, cosa credo? Cosa crediamo?) ed è un sostegno sul nostro cammino (l’espressione comune mi aiuterà nella mia espressione personale della fede). E’ un lavoro di linguaggio e di fiducia.
Nella stesura della nuova dichiarazione coinvolgerete ogni singola comunità e anche i partner internazionali, tra cui la Chiesa valdese. Cosa significa per lei oggi essere parte dell’unica Chiesa di Gesù Cristo?
Nel mio ufficio ho un manifesto (prodotto da una chiesa sorella!) che illustra questa affermazione: “Cristo ha più facce”. La Chiesa protestante unita di Francia è una di queste facce. Non può esserne la sola.
Non si è mai chiesa da soli. Per vivere la sua missione laddove si trova, una chiesa locale ha bisogno delle comunità vicine, della chiesa al livello sinodale. Questo è vero anche al di là delle distinzioni di nazione, lingua o confessione. Siamo chiesa gli uni grazie agli altri. E’ il grande privilegio di essere circondati, come si dice nell’Epistola agli Ebrei, da una grande schiera di testimoni. Il punto di vista delle nostre chiese sorelle è dunque fondamentale per esprimere e vivere la nostra fede. E’ ancora più importante che il cristianesimo, e questo non gli è proprio, viva qua e là delle radicalizzazioni identitarie; ma su un fondo di crescente permeabilità da una tradizione spirituale a un’altra. Anche se si manifestano degli arroccamenti, il cristianesimo sta diventando post confessionale. Tenere presente i pareri delle chiese sorelle, e specialmente quello della Chiesa valdese che ci è particolarmente vicina e cara, è un’evidenza e una necessità .
19 gennaio 2016