Il Consiglio ecumenico delle chiese scrive alle sue chiese membro in questo tempo di COVID-19
Torre Pellice, 20 Marzo 2020
“Pregare il Dio della vita ci esorta, in quanto chiese, a porci risolutamente dalla parte della vita, a fianco del nostro Signore e pastore Gesù Cristo che ha fatto ogni cosa per proteggere la vita e che ha dato la sua per noi”.
Sono le parole di apertura di una lunga lettera che la presidente e il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese, rispettivamente Agnes Abuom e Olav Fykse Tveit, hanno rivolto alle loro chiese membro, tra cui la Chiesa valdese, in questo tempo segnato dall’emergenza COVID-19.
Il Consiglio ecumenico ricorda come pregare e adoperarsi per la giustizia e la pace significhi anche pregare e prodigarsi per la salute. La pandemia ci chiama a interrompere la catena di trasmissione del virus rispettando tutte le misure e restrizioni che sono state imposte, in particolare per difendere la vita dei più fragili. Le comunità religiose, si legge nella lettera, possono agire, in periodi come questi, per difendere la solidarietà , la responsabilità , la saggezza e la prevenzione. “In quanto chiese – scrivono Abuom e Fykse Tveit – possiamo e dobbiamo far udire la voce delle comunità più vulnerabili poiché marginalizzate, delle persone che non hanno sufficiente acqua potabile o non ne hanno affatto per lavarsi le mani. Dobbiamo farci carico delle persone sfollate a causa della guerra, delle carestie, del crollo economico ed ecologico, di coloro i quali vivono in condizioni precarie e molti dei quali non sono riconosciuti dalle autorità dei paesi dove si trovano”. In un momento in cui il contatto umano è bandito e non ci si può incontrare di persona, i dirigenti del Consiglio ecumenico ci ricordano che oggi “siamo chiamati a toccare il cuore dell’altro attraverso quello che diciamo, ciò che condividiamo e ciò che facciamo (e non facciamo) per proteggere la vita così tanto cara al cuore di Dio”. E’ in questo amore, infatti, che “dobbiamo adattare i nostri culti e la nostra comunità fraterna ai bisogni imposti da questa situazione di pandemia, per evitare di ritrovarci agenti trasmettitori anziché portatori di grazia”.
La lettera si conclude con un appello a quelle chiese che sono anche proprietarie di ospedali affinché forniscano servizi alla salute al più grande numero di persone possibile.