In italiano si chiama Salonicco, ma è la antica città greca di Tessalonica, quella in cui si trovava una comunità a cui l’apostolo Paolo scrisse ben due lettere che fanno oggi parte della Bibbia cristiana. Dal 4 al 7 maggio vi si è svolto l’annuale incontro delle Chiese riformate europee, ospiti di una bella e vivacissima comunità (500 membri, di cui 350 al culto domenicale), parte della piccola e attiva Chiesa evangelica greca. Non si tratta di un “mega-sinodo”, perché ogni Chiesa si regge da sola, ma di una occasione per fare il bilancio della situazione delle nostre Chiese riformate in Europa, dalla Svezia al Portogallo, dall’Ungheria alla Scozia.
Per troppi anni, a causa della pandemia, questo incontro-assemblea si è svolto in modo virtuale, ma il ritrovarsi di persona è stato anche un segnale di speranza anche se, per motivi ecologici, gli incontri via computer saranno sempre più usati da noi e da chiese e organizzazioni ecumeniche. Gli argomenti sul tappeto erano molti, ma tutto l’incontro si è svolto alla luce di una tematica che potremmo riassumere in questo modo: mantenere la fede e predicare l’Evangelo in tempi di crisi. Ovviamente la crisi che balza subito agli occhi è quella scatenata dalla guerra in Ucraina, ma non possiamo dimenticare tutte le altre situazioni difficili del nostro mondo.
Era presente all’incontro Najla Kassab, la presidente della Comunione mondiale di chiese riformate, che ci ha descritto efficacemente la difficilissima situazione in Siria, paese in guerra, colpito recentemente dal terremoto, e in Libano dove la crisi economica sta sfiancando un paese di quattro milioni di abitanti che ne ospita altri due di rifugiati. Lei stessa, pastora della Chiesa siro-libanese, ci ha parlato dell’impegno che le piccole comunità riformate mettono nel campo dei rifugiati e dei poveri. Ha concluso dandoci una parola di forte speranza: la chiesa in Siria e Libano, nonostante tutto, è più forte di prima e le scuole evangeliche, in un paese dove grande è la corruzione, cercano di porsi come palestre di onestà.
In Ucraina esiste da secoli la Chiesa riformata di lingua ungherese che è stata pesantemente coinvolta dal conflitto: molti giovani sono al fronte o rifugiati nella vicina Ungheria, sono rimasti i meno giovani, i 73 pastori hanno scelto di rimanere al loro posto, affrontando nuove sfide, come quella dell’accoglienza di chi scappa dai territori in conflitto e occuparsi degli anziani fragili e soli. Ma anche resistere a nazionalismi di ritorno, che in tempi di guerra possono essere micidiali e rischiano di propagandare un paese con una sola lingua e una sola religione, quando da sempre questo territorio e marcato dalla presenza di minoranze linguistiche, etniche e religiose.
Non abbiamo però voluto dimenticare il grande terribile problema delle migrazioni verso l’Europa, nel quale praticamente tutte le nostre Chiese sono impegnate con progetti di accoglienza e di aiuto. Le Chiese non sono però solo delle organizzazioni di aiuto sociale, il loro compito primario dovrebbe essere l’annuncio dell’Evangelo in tempi di cambiamento, segnati da crisi, nazionalismi e guerre. Di questo abbiamo dibattuto, dividendoci in gruppi di discussione, guidati da un documento redatto da alcuni teologi riformati. Sono emersi i seguenti punti: non dimenticare che la fede si è storicamente sempre scontrata con il problema della guerra, che è segno del peccato umano di violenza e potere; tutte le Chiese in Europa lottano pregano e si impegnano per la pace, ma la loro voce è sempre più irrilevante; dobbiamo continuare ad annunciare speranza anche se, come tutto il mondo, non sappiamo offrire soluzioni immediate.
Questi i temi più rilevanti emersi dall’incontro; inoltre abbiamo anche avuto l’occasione di parlare della situazione delle nostre singole Chiese, tutte di minoranza, che in alcuni casi sono schiacciate da secolarizzazione e problemi economici. Abbiamo anche dedicato del tempo alla proposta di un nuovo regolamento generale della nostra Comunione, ma di questo vi faccio grazia…