Trascorrere una settimana nella regione della Vestfalia, ospite delle chiese protestanti tedesche, aiuta a mettere molte cose in prospettiva. Sono stata invitata a rappresentare le chiese protestanti italiane, raccontare le nostre sfide di chiese di minoranza e soprattutto testimoniare l’impegno sulla questione migratoria, oltre che certamente avere l’occasione – e l’onore – di prendere parte a un momento fondamentale di vita comunitaria e lavoro come quello di un Sinodo. Dal 21 al 24 maggio si è infatti svolto a Bielefeld il Sinodo generale della Chiesa evangelica della Vestfalia (EKvW), una delle più grandi e importanti “regioni” di tutta la Chiesa protestante in Germania (EKD).
Prima del Sinodo, si è tenuta la consultazione ecumenica organizzata dal Dipartimento ecumenico dell’EKvW. Tra i suoi ospiti la pastora Rita Famos, presidente della Chiesa evangelica riformata in Svizzera e membro del Consiglio della Comunione di chiese protestanti in Europa (CPCE), Zoltán Balog, vescovo della Chiesa riformata in Ungheria, la sottoscritta in qualità di coordinatrice di Mediterranean Hope, il programma per i rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, e Christoph Picker, direttore dell’Accademia evangelica della Renania – Palatinato.
La conferenza dal titolo “Come funziona la pace? Prospettive della Chiesa sulla democrazia e la pace in Europa” si è aperta proprio con alcune riflessioni a cura di Picker che hanno dato poi impulso ai lavori della giornata. Le chiese protestanti possono contribuire a rafforzare le democrazie europee, continuando a promuovere una cultura della pace e della tolleranza, garantendo pluralità, attenzione alle differenze e alle minoranze. Sono state espresse anche delle criticità, come il rischio che certe riflessioni rimangano nelle accademie, su un piano ideale, senza che si incontrino con la pratica e attivino una più larga partecipazione al processo democratico che dovrebbe coinvolgere membri di chiesa e politica.
Nei giorni successivi, durante il Sinodo, mi sembra che siano emerse anche altre questioni diventate centrali nel dibattito: la guerra in Ucraina e la ricerca di una “pace giusta”; il cambiamento climatico e il tentativo di diventare chiese a impatto “zero”; l’impegno con le persone migranti in termini di accoglienza, tutela dei diritti e preoccupazione per la tendenza a politiche nazionali ed europee di chiusura, espulsione e criminalizzazione; lo “stato di salute” delle chiese rispetto alla grave diminuzione dei suoi membri, della partecipazione e delle finanze; le relazioni ecumeniche con altre comunità di fede e l’impegno verso la missione dentro e fuori dalla chiesa.
Indipendentemente dall’essere chiese maggioritarie o minoritarie, ci poniamo forse le stesse domande come credenti evangelici ed evangeliche? Siamo coscienti dell’impatto che abbiamo nella società e nella politica, e soprattutto di quali strumenti abbiamo a disposizione?
Nel visitare alcuni edifici storici delle chiese della regione della Vestfalia, mi colpisce la loro sobria e orgogliosa bellezza e percepisco il rammarico di chi mi accompagna e mi racconta le difficoltà nel mantenerle, di tenere insieme le comunità, di proseguire il prezioso lavoro di testimonianza evangelica nella città.
Le parole della presidente dell’EKvW (e dell’EKD) Annette Kurschus nel primo giorno di lavori del Sinodo mi colpiscono: “Non dobbiamo occuparci solo dei problemi interni alla chiesa ma anche di quelli importanti nella nostra società. Dobbiamo tenere aperta la terra al cielo, e viceversa: portare il messaggio del regno celeste di Dio in modo tangibile sulla terra.”
Per questo è così importante che la chiesa si faccia ancora sentire su questioni che riguardano tutti e tutte, come quelle affrontate dal Sinodo dell’EKvW.
Sento, inoltre, che non manca una particolare attenzione verso chi è fuggito o ancora fugge da guerre e persecuzioni, che sia dall’Ucraina o attraverso il Mediterraneo. Dall’Italia avvicino un po’ il Mediterraneo alla Germania, raccontando quello che accade nelle “nostre” frontiere e l’impegno delle chiese. Ma la sensazione è che sia già vicino: è presente nelle parole per ricordare chi perde la vita nella traversata del mare, nel riconoscere l’importanza di non dimenticare i nomi, di non abbassare l’attenzione per i diritti, di lavorare instancabilmente insieme a istituzioni e società civile per garantire pratiche di accoglienza e solidarietà, accompagnamento in percorsi educativi, tutela nel mercato del lavoro.
Porto la voce di una chiesa piccola, ma che sa da sempre che questo non significa essere una chiesa sola o senza possibilità di fare la sua parte. Ed è certamente anche nelle alleanze ecumeniche e relazioni con le chiese a livello internazionale che si realizza questa potenzialità. Sfide difficili, in tempi difficili ma se le condividiamo, forse, possiamo continuare a essere laddove c’è più bisogno – qui e ora – curando la terra affinché sia aperta al cielo.