“Così parla il Signore: «Rispettate il diritto e praticate la giustizia; poiché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per essere rivelata»”.
Isaia 56,1
Quale motivazione per la giustizia, per l’azione responsabile, con la fatica che essa comporta? Perché agire, decidere secondo giustizia? Due le risposte possibili: perché è giusto, oppure per via delle conseguenze. L’una è pura e fragile come il cristallo, l’altra può essere efficace, ma problematica, per vari motivi. Lo è innanzitutto nei casi in cui significhi paura della punizione, perché da sola non educa alla libertà, ma induce a una versione oppressiva dell’obbedienza e anche della libertà, che è goduta soltanto negli spazi sottratti allo sguardo di chi controlla. È però a suo modo problematica anche la versione più virtuosa, quella che collega, come fa anche la Bibbia, il rispetto della giustizia alla sopravvivenza collettiva, perché tale nesso non è sempre evidente o (di)mostrabile. Il Signore sceglie un’altra strada e affida al profeta questo messaggio, che non va interpretato come un ultimatum, come un’ingiunzione a mettersi in regola prima che arrivi il controllo – «trova il Signore prima che lui trovi te», come si diceva in un noto sketch comico. Va invece compreso, come è evidente dal contesto, come un accorato invito che vuole appassionare e avvincere alla causa della giustizia, svelando il più ampio orizzonte della nostra vita e delle nostre azioni, mostrandoci che la giustizia che siamo chiamati e chiamate a praticare ha un fondamento infinito oltre noi, perché radicata in quella di Dio.