Una riflessione sulla festa dello Spirito Santo
«Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi». E Pentecoste? Qui la saggezza popolare ci abbandona: né «come vuoi» perché è l’esperienza dello Spirito Santo, e lo Spirito Santo non si lascia manipolare dalla volontà umana; né «con i tuoi», ma significativamente con altri, provenienti da ogni dove, per ri-presentare e ri-vivere quel che l’evangelista Luca ci racconta nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli.
In origine è una festa legata all’ordine della natura o, meglio, dell’agricoltura: la festa della mietitura, detta anche la «festa delle settimane» (Shavuot), sette settimane dopo Pasqua, in greco «il cinquantesimo giorno» (Pentecoste). Questa sua collocazione nella bella stagione ha senz’altro tolto dell’entusiasmo alla festa di chiesa. Nelle Valli Valdesi del Piemonte bisogna fare il fieno; le necessità della vita agricola hanno dettato le nostre agende ecclesiastiche a tal punto che le attività dell’anno ecclesiastico si chiudono già il 30 aprile, lasciando la festa di Pentecoste in uno spazio non meglio definito. Nelle città, invece, la festa di chiesa è stata sacrificata alle gite fuori porta, i pellegrinaggi dell’era moderna.
Anche la Pasqua (Pessah) e la festa delle capanne (Sukkoth), in origine, erano feste legate al ciclo agricolo; successivamente sono state storicizzate, cioè, integrate nella storia della salvezza. Quando la Pentecoste sia diventata la festa del dono della torà non si può dire con precisione, ma i fenomeni avvenuti durante la celebrazione della Pentecoste ebraica a Gerusalemme descritti dagli Atti degli Apostoli sono quelli della rivelazione della torà di Esodo 19. L’evangelista Luca racconta una nuova rivelazione durante la festa dell’antica alleanza che apre definitivamente i confini del popolo di Dio, a partire dai primi destinatari della rivelazione, di lingue e culture diverse, ma tutti ebrei in pellegrinaggio a Gerusalemme.
I confini, appunto, della festa di Pentecoste sono aperti a nuove tradizioni (per esempio l’ecumenismo). Nei primi tre secoli Pentecoste comprendeva tutto il periodo dei cinquanta giorni dopo Pasqua, era parte integrante del periodo pasquale, saldamente ancorata anche alla Passione di Cristo (l’Evangelo di Pentecoste è Giovanni 14, il primo discorso di commiato, prima della crocifissione, preceduto dalla lettura dell’epistola Atti 2). Soltanto a partire dal IV secolo diventa una festa propria (Concilio di Elvira 305 d.C.), formalmente alla pari di Natale e Pasqua. Malgrado tutti i tentativi di emancipazione, la festa dello Spirito, nell’Occidente cristiano, non decolla. Da un lato, è troppo legata agli avvenimenti e festeggiamenti di Pasqua; dall’altro, ha una concorrente troppo forte al suo interno: la chiesa. La festa dello Spirito Santo diventa quella della nascita della chiesa. Di una chiesa che nel corso dei secoli inverte il suo Credo: dal «credo nello Spirito Santo, la santa chiesa universale» passa di fatto al «credo nella santa chiesa universale… e basta». La chiesa diventa di fatto la terza persona della Trinità. La festa dello Spirito Santo è rimasta una ricerca, talvolta anche un grido, di emancipazione.
Che cos’è «spirito»? Qualcosa che non si vede. Eppure, c’è. Come l’aria: non si vede, ma se manca, si sente. Forse questa è una risposta: quel che ci manca. Perciò lo invochiamo, lo preghiamo e crediamo in lui. Non lo possiamo né possedere né manipolare. E noi, chiesa, siamo lo spazio aperto della mancanza.
Nella Bibbia lo Spirito è la forza che crea l’universo e risuscita Gesù dai morti. La forza che fa crescere, costruisce, consola, edifica. Che insegna ogni cosa e ci ricorda tutto quello che ha detto Gesù. La forza che ci concentra su Gesù e la sua parola. È pericoloso opporsi a questa forza, rischieremmo di consumare le nostre esistenze nelle reciproche mortificazioni, nel fregarci reciprocamente l’aria, lo spirito vitale, la libertà in tutto ciò che non costruisce né edifica, né fa crescere né insegna, né ricorda né consola.
Dio dà dei doni ma sempre anche, insieme ai suoi doni, sé stesso. Dono e donatore sono inseparabili. Separarli vuol dire mortificare lo Spirito. Detto diversamente: nel Credo, tra la frase «Credo nello Spirito Santo» e «la santa chiesa universale» non c’è niente, non c’è nemmeno tempo per respirare. Anche in seguito, tra la «la santa chiesa universale» e «la comunione dei santi» non c’è separazione: la chiesa è comunione. Uno spazio aperto, libero, creativo, per l’edificazione, l’incoraggiamento, la guarigione, la risurrezione dei morti.
La comunione è di coloro ai quali manca lo Spirito, manca la libertà. La comunione dei santi zoppi, santi storpi e santi mendicanti. Santi pagani. Santi, perché Dio li ha chiamati: beati. E, per una volta, l’hanno sentito e si sono capiti. Pentecoste, dunque, la festa dello Spirito Santo: né con i tuoi, né come vuoi, ma con noi: detto dalla comunione d’amore di Dio e tutta la comunione dei santi.
