La Pasqua come passaggio dalla schiavitù alla libertà
Torre Pellice, 22 Marzo 2018
«Servirsi di Dio come di una risposta alla domandasull’origine delle leggi (dell’universo) equivale semplicemente a sostituire unmistero con un altro». Si tratta di una delle frasi più celebri diStephen Hawking, matematico e astrofisico inglese scomparso da pochi giorni,volto simbolo della scienza del nostro tempo. Una mente visionaria, la sua, cheha saputo unire le più complesse teorie e ricerche in campo fisico eastronomico a una vita pubblica che lo ha fatto conoscere anche allegenerazioni più giovani e ai non addetti ai lavori.
La dimensione del mistero, messa in evidenza dallo scienziato inglese, avvolgenon di rado la nostra percezione dei contenuti centrali delle festività pasquali. Il tempo della Passione, detto anche Quaresima, pone al centro dellanostra riflessione la croce di Gesù. Di conseguenza emerge con tutta la suapre-potenza il problema della morte. Affrontando questo problema si è tentati diabusare della parola mistero oppure di fare ricorso a un Dio “tappabuchi”.
La Pasqua tuttavia non è un mistero impenetrabile. Il senso della Pasqua,tanto di quella ebraica quanto di quella cristiana, è il passaggio dallaschiavitù alla libertà , dalla morte alla vita. Nella prospettiva cristiana nonsi può comprendere l’annuncio della risurrezione senza passare attraverso ilsentiero della croce. Non si può sperare nella risurrezione se non si accetta l’inevitabilità della morte. Per questo motivo nella prassi liturgica delle chiese protestantila celebrazione del Venerdì Santo assume un significato particolarmenteimportante. Si tratta di celebrare non tanto la morte di Gesù quanto la nostraindividuale e/o collettiva metanoia nei confronti della vita e della morte.
La bellissima parola italiana “ravvedimento” esprime molto meglio dellealtre (pentimento, conversione, rinascita, nel senso di born again) il senso del termine greco “metanoia”. Ravvedersi significaaccogliere una diversa, assolutamente nuova percezione della realtà . Taleaccoglienza inizia con la meditazione della Parola ma la forza che la rendepossibile non si trova nelle possibilità umane. Qui non contano intenzioni népropositi. Soltanto la Grazia rende possibile una nuova percezione dellarealtà . Nella prospettiva evangelica si tratta della realtà trasformata dallaGrazia, la realtà che è proprio sotto il dominio del Re dei re, la realtà incui l’unica legge è l’amore-agape.
Si ha tuttavia l’impressione che l’appello al ravvedimento il più dellevolte cada nel vuoto. Non di rado siamo convinti di essere già fuori dalledinamiche del peccato e di vivere pienamente nella dimensione dell’agape. Altrevolte ci sembra invece di sprofondare nel peccato. La verità è tuttaviadiversa. Viviamo sempre sospesi tra peccato e Grazia. Abbiamo la certezza chenel momento della nostra morte corporea sperimenteremo pienamente laliberazione dal peccato ma finché ci troviamo nell’al-di-qua, assai spesso ilnostro agire è lontanissimo da qualunque manifestazione dell’agape. Il passonecessario dunque è quello di prendere atto della “nostra totale incapacità difare il bene” (Giovanni Calvino). Solo a questa condizione le nostre azionipotranno essere guidate e dominate dalla Grazia affinché l’agape di Dio simanifesti pienamente per togliere dai nostri occhi ogni velo del mistero.