Ci apprestiamo a vivere e festeggiare un altro Natale, una celebrazione che in occidente coinvolge in qualche modo tutti. Oggi non si può dire che l’intera società sia cristiana ma il Natale continua a rivelare una grande forza evocatrice. Anche le chiese valdesi e metodiste si preparano a celebrare l’evento. Con il pastore Eric Noffke, professore designato di Nuovo Testamento alla Facoltà valdese di teologia di Roma, ci siamo interrogati sul senso più profondo che il Natale reca con sé.
Qual è il significato autentico del Natale? In fondo è la meno cristiana delle ricorrenze, connotata da una matrice pagana di gran lunga precedente la nascita di Gesù…
In effetti è vero che il Natale ha occupato la data di una festa pagana ma questo, in fondo, è il modo in cui il cristianesimo si è sviluppato, cioè dando un significato nuovo a feste e pratiche precedenti. Com’è avvenuto con le celebrazioni ebraiche di Pasqua e di Pentecoste, così è stato anche per il Natale.
C’è, però, una significativa differenza da notare: mentre con le due feste ebraiche il cristianesimo si pone in profonda continuità con la sua matrice giudaica (molti dei significati che troviamo nell’Antico Testamento sono riassunti nell’opera di Gesù), per il Natale si tratta di una scelta di profonda rottura, di contrapposizione rispetto al passato pagano.
Quello che a me piace del festeggiare la nascita di Gesù proprio nei giorni più bui dell’anno e all’inizio dell’inverno, è che questo ci permette di evidenziare che Dio si incarna proprio nel buio della condizione umana, quando la capacità di amare langue come la vita d’inverno. In questo modo risalta il senso dell’incarnazione, perché è proprio il peccato umano a renderla necessaria. Natale, così, rappresenta la promessa della presenza di Dio, reale e piena, che scalda i nostri cuori nel freddo della vita.
Perché bisogna pensare un Dio che si faccia uomo, attraverso Gesù? Non c’è il rischio che un Dio alla nostra portata sia un Dio di cui tutti possono impossessarsi?
Al contrario! Affermare che il Dio trascendente si fa pienamente e veramente uomo in Gesù significa impedirci di lasciarlo in cielo e, così, renderlo lontano, imperscrutabile, quasi una divinità indifferente alla nostra vita, se non ci fosse un sacerdozio che interviene a farlo scendere qualche volta tra noi. Il Dio d’Israele, invece, si fa uomo in Gesù, mettendo in crisi tutte le nostre rappresentazioni, a cominciare dai “vitelli d’oro” che accompagnano tutta la nostra storia.
Il Dio incarnato è una presenza anche scomoda perché non ideale, impalpabile: ha assunto un volto preciso, ha detto cose molto chiare, ha fatto una fine infame… Se è vero, poi, che la storia si può scrivere da molti punti di vista, è proprio il principio del Sola Scriptura ad impedirci di rappresentare un Gesù a nostra immagine e somiglianza.
La provocazione divina dell’incarnazione non finisce qui, perché anche le sacre pagine che ce ne parlano sono a loro volta “incarnazione” della sua testimonianza: pagine scritte da uomini, ma ispirati. In esse non possiamo più distinguere l’umano e il divino, come non possiamo farlo con Gesù. Non c’è un messaggio sublime da raffinare o purificare dalle sue incrostazioni umane: se tolgo l’uno perdo anche l’altro. Per questo la Scrittura rimarrà lì a provocare la Chiesa, senza che la Chiesa possa mai impossessarsene. In Gesù Dio ci incontra nella maniera in cui Lui ha deciso di venire, cioè nella storia umana, con le sue luci e le sue ombre, e non ci resta che riconoscere in questo uomo il Cristo, il Salvatore.
Oggi il Natale è accusato di essere diventato un evento consumistico privo di spiritualità . Come si può evitare questa deriva che ferisce spesso le persone più sole e povere?
Richard Horsley, un noto studioso del Nuovo Testamento, descrive il Natale contemporaneo come la festa principale della religione imperiale che impregna la nostra società , la piena esaltazione e celebrazione dei poteri terreni, a cominciare dal denaro. Concordo con lui, e proprio per questo credo che noi cristiani non dobbiamo lasciare che il Natale ci venga sottratto da “questo mondo”.
La nostra sfida oggi è quella di smascherare gli inganni dell’anticristo (cioè di quei poteri che imitano l’immagine, il linguaggio, la vita di Cristo per ingannare i fedeli e portarli ad adorare gli dei di questo mondo) e del suo “anti-natale” consumistico, celebrando con semplicità e convinzione la nascita di Gesù. Speriamo che nei nostri canti e nella nostra sobrietà il mondo possa scorgere il vero contenuto del Natale, che riassume l’amore di Dio per noi. Qui a Roma molte chiese sono impegnate proprio a fare in modo che questa sia una festa della solidarietà e non dello sfarzo che schiaccia il povero nella sua miseria.
17 dicembre 2015