«Dio ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te il Signore, se non che tu pratichi la giustizia, che ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio?»
Il profeta Michea annuncia il suo messaggio in una epoca difficile di Israele. Oltre a una minaccia assira, il popolo deve fare i conti con il malgoverno di quei potenti che approfittano della facciata religiosa per agire per il proprio tornaconto, piuttosto che per il bene di tutti. Chi governa osserva i precetti religiosi, ma il profeta crede che praticare la volontà di Dio sia un’altra cosa; egli non crede sia possibile prevaricare i diritti dei deboli, esporre al rischio di morte i poveri e abbandonare al loro destino chi non ha più mezzi di sostentamento e poi praticare tutti i riti religiosi.
La coscienza non si lava con un colpo di spugna, perché l’integrità e la coerenza esigono impegno nella giustizia. Così il profeta pone il rapporto con Dio non più all’insegna di riti cerimoniali esteriori che non impegnano il credente sul piano spirituale e sociale, ma nell’incontro vero e proprio con Dio, nella riconciliazione con lui e con il prossimo, in un rapporto solidale e di condivisione.
E l’unico modo per incontrare Dio è incontrare del prossimo, attraverso un impegno di partecipazione e sostegno dell’altro, dell’altra. Fumo negli occhi può essere una religiosità formale, ma non certamente quell’etica che il profeta concretizza in tre momenti essenziali della vita di tutti i credenti: praticare la giustizia, amare la misericordia e camminare con Dio umilmente.