«Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà ? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini.»
Voi sarete calpestati. Sembra che Gesù ci dica questo. Se non sarete capaci di “salare” a sufficienza, finirete calpestati, come si calpesta l’immondizia gettata in terra, o il materiale di risulta, ormai inutilizzabile.
Il sale, allora, poteva non venir bene, perdere le proprie proprietà già in fase di preparazione, o anche con il passare del tempo, ma anche allora aveva le stesse funzioni che ha oggi per noi: dare sapore ad un cibo sciapo, addolcire una pietanza amara, conservare; soprattutto conservare.
Mi chiedo anzitutto: a chi si riferisce Gesù con quel “voi”? Nell’arco dei secoli le chiese, tutte le chiese, hanno non a torto interpretato tutte le parole di Gesù rivolte ad un “voi”, come parole rivolte ai discepoli “e dunque” alla Chiesa. A coloro insomma che hanno raccolto il testimone dei discepoli. Vorrei provare qui un’interpretazione diversa e credo possibile. Immaginare che questa parola sia rivolta a tutta l’umanità e non ad una parte di essa e che quel “voi” sia ciascuno e ciascuna di noi.
Tra qualche giorno è Pentecoste e noi continuiamo ancora oggi ad interrogarci sull’ispirazione della parola biblica. Sarà ancora buona oggi una parola scritta più di duemila anni fa? Raramente ci interroghiamo sull’opera dello Spirito in chi ascolta. Il Signore, invece, ci invita a fidarci del nostro sale in zucca e a comprendere che a dare sapore, ad addolcire, a conservare la Parola affinché essa possa essere nutrimento dobbiamo competere anche noi. Quel sale, dice Gesù, siamo noi tutti e noi tutte e senza di esso persino lo Spirito faticherebbe. Lasciamo dunque che lo Spirito ispiri il nostro ascolto e cerchiamo di usare il giusto quantitativo di condimento perché quel cibo, che va moltiplicato abbia sapore per gli altri e le altre.