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Matteo 25, 40

“Cristo dice: «In verità  vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me»”

Parla il Figlio dell’uomo in una parabola il cui contesto apocalittico e giudiziario non poteva sfuggire agli ascoltatori ebrei: le nazioni, cioè le genti non appartenenti al popolo di Israele, sono raccolte attorno al trono glorioso per essere giudicate individualmente dal Re giudice della fine dell’Età . Quale sarà  il criterio del giudizio? E chi sono “questi miei minimi fratelli”? Sono i membri del suo popolo oppresso e perseguitato, presenti a quella grande assise finale, con i quali egli si identifica. Non avranno avuto in vita un nome e una storia riconoscibili.

Chi sono i minimi fratelli e sorelle di Cristo oggi intorno a me, in questo occidente cristianizzato? Cosa posso fare per incontrarli? “… ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi…”. Cosa scopro del Dio di Gesù incontrando coloro che soffrono? Non posso separare i verdetti del Giudizio finale dal Manifesto delle Beatitudini.

Se la parabola riprende l’idea tradizionale di retribuzione per i propri atti e l’instaurazione di un nuovo e più giusto ordine, indica anche che non si tratta di una questione di meriti; qui essa confonde invece di svelare, facendo risaltare l’ignoranza condivisa da pecore e capre, sorprese del loro destino ed identità . Non cediamo alle interpretazioni moralizzanti della parabola! Lasciamo aperta la tensione fino alla fine: “Signore, oggi quando mai ti ho visto affamato, assetato, straniero, nudo, incarcerato?”.

Obbedire a Cristo non sarà  risultato di uno sforzo, perché il buon frutto viene da alberi buoni.

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