«Il mio padrone tarda a venire»
Il Signore viene – il Signore ritarda: ecco uno dei dilemmi fondamentali della coscienza cristiana del I secolo. Nella certezza di un’imminente venuta del Signore, ha iniziato a insinuarsi il sospetto di un rinvio che, col protrarsi del tempo, ha generato il dubbio radicale: “Dov’è la promessa della sua venuta?” (2 Pietro 3,4). Se già nel primo secolo non fu facile essere una chiesa che aspetta, ancora meno lo è oggi, in cui l’attesa della venuta del Signore è tanto più tiepida, e i dubbi che non verrà mai tanto più intensi.
“Il mio padrone tarda a venire”, osserva il servo malvagio della parabola. La radice della sua malvagità è proprio questa: quel servo conta sul ritardo del padrone anziché sul suo ritorno; imposta la sua vita sul ritardo e non sulla venuta. Per questo comincia a picchiare gli altri servi, a mangiare e a bere, a non lavorare: abbandona la sua posizione di servo e si comporta da padrone: “Il mio padrone tarda, finché non viene lui (e forse non verrà mai), comando io”.
È qui descritta una grande e sottile tentazione della chiesa: vedendo che il Signore “tarda a venire”, pensa di doverlo sostituire. Una tentazione grande e sottile, perché forse l’intenzione è anche buona, ma la conseguenza è negativa perché ci trasforma da servi in rappresentanti e in plenipotenziari.
Quando la chiesa o i cristiani si considerano i rappresentanti del Signore presso gli uomini, infatti, disubbidiscono alla loro vocazione che è di servirlo, non di sostituirlo, e illudono gli altri e le altre facendo loro credere che, finché egli venga, in qualche modo occupano il posto da lui lasciato vacante. Ma il posto del Signore non è mai vacante! Il servo fedele, a differenza di quello malvagio, non prende il posto del Signore anche se tarda a venire, ma resta suo servo fino all’ultimo, non si considera né si comporta come suo sostituto, vicario o rappresentante.
Questa tentazione, di considerarsi rappresentanti del Signore finché egli venga, è tipica di chi nella chiesa esercita un ministero. C’è chi si fa chiamare apertamente “Vicario di Cristo”, ma forse in ogni chiesa il Signore ha dei “vicari”, persone che esercitano un ministero e finiscono, spesso senza volerlo e senza neanche accorgersene, per sostituirsi a lui anziché servirlo. Non ci sarebbe da meravigliarsi se alla fine il Signore avesse più vicari che servi!
Il Signore, partendo, non ha lasciato un vuoto, ma una promessa. Chi dimentica la promessa e pensa di doverlo sostituire o rappresentare, è il servo malvagio che conta sul ritardo più che sul ritorno. È un calcolo che tutti segretamente facciamo: l’attesa della venuta del Signore nel tempo d’Avvento è spesso poco più di una “finzione liturgica”, che termina la notte del 24 dicembre, e non incide sulla nostra esistenza o su quella della chiesa. Qui l’imborghesimento della chiesa ha una delle sue radici più profonde.
La Scrittura testimonia che il Signore non è mai in ritardo, ma viene sempre a tempo, perché ogni tempo è suo. Gesù è nato “quando giunse la pienezza dei tempi”, e tornerà al loro compimento, non un minuto prima né uno dopo. Nel frattempo la chiesa fedele è chiamata a servirlo, e non a sostituirlo. Lo servirà e lo confesserà come il Signore che non delega nessuno a rappresentarlo.