“Dicci dunque: Che te ne pare? È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» E Gesù disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio»”.<(p>
Gesù si trova molte volte nella condizione di essere contestato pubblicamente o di essere interrogato su delle questioni scabrose dal punto di vista politico o sociale.
Anche allora, alcuni tentavano di influenzare la politica tramite alleanze con i potenti, altri sostenevano una rivolta popolare, molti desideravano un capo forte che indirizzasse un forte cambiamento sociale. Gesù riconosce i tanti e abili tentativi di manipolazione e se ne sottrae: non è venuto per guidare una ribellione violenta, ma a salvare.
L’effige di Cesare è per Gesù l’occasione di ricordare ai suoi interlocutori di rispettare le leggi dello stato, prima fra tutte quella di pagare l’imposta. Un discorso impopolare, anche oggi, ma che impone una riflessione su quello che è il nostro rapporto con le istituzioni: come si pone il credente di fronte allo stato? Ne segue le leggi o le ignora? Di fronte anche a leggi ingiuste, quale sarà la posizione dei credenti? Gesù risponde che bisogna riconoscere a chi appartiene la sovranità nelle varie circostanze della vita. In fondo Gesù ci chiede: a chi appartieni tu? A Cesare o a Dio? Chi ha autorevolezza sulla tua vita? Chi ti anima e chi ti governa?
Cesare rappresenta quindi per Gesù l’opportunità di ribadire che l’onestà, la legalità, il rispetto, l’amore per il prossimo e anche per il nemico sono al centro della vita. Il credente anche se vive in uno stato autoritario, imperiale ed ingiusto si riconosce dalla capacità di aderire alle leggi, ma anche di saperle criticare adeguatamente e nelle sedi opportune, con le parole, con la testimonianza e anche con il martirio, proprio perché chi crede non appartiene “a Cesare” ma a Dio.