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Marco Tullio Florio: l’impegno di una vita spesa come medico e predicatore

Per ricordare Marco Tullio Florio, scomparso il 25 settembre, credo sia opportuno dare visibilità  alla gratitudine delle persone che il «medico e predicatore» ha curato. Non ho incontrato suoi pazienti nell’ospedale napoletano «Monaldi» dove ha svolto tanti anni di attività , ma ho ben presenti degli episodi significativi – altri potranno forse ricordare qualcosa dei primi anni di attività  professionale, negli ambulatori creati presso le chiese napoletane – via Foria, S. Anna di Palazzo, e poi Villa Betania.

Per esempio l’episodio di uno sciopero del personale infermieristico: dal punto di vista politico, con la coerenza che lo caratterizzava, Florio dette ragione ai lavoratori in lotta (allora, come ricorda nell’intervista a firma di P. Egidi Bouchard, pubblicata da Riforma nel marzo scorso, era «primario di fatto», sebbene non «di diritto» – n. 14, p. 8), ma allo stesso tempo si pose il problema dei pazienti. Fece così in prima persona, più volte, il giro del reparto, spingendo il carrello dei medicinali prescritti a ognuno dei ricoverati. La politica era importante, nella sua vita, ma sempre sottoposta al vaglio della coscienza civile e della militanza di fede: che poi significa il rispetto della persona, lavoratore in lotta e ammalato. Certo, nella cultura di oggi è facile «schierarsi» e dar ragione all’uno o all’altro: occorre però farsi carico delle responsabilità  che ne conseguono, e pochi lo fanno.

L’altro grande suggerimento, nel ricordare il dottor Florio (che fu anche predicatore laico) viene dall’ospedale di Ndongué in Camerun. Nel 1993, poche settimane dopo il rientro suo e della moglie Alba (con cui ha condiviso sessant’anni di vita e di esperienze militanti, di chiesa e in politica) dalla prima lunga esperienza africana successiva al pensionamento e svolta nel quadro della Cevaa, ho potuto visionare e duplicare il filmato che i dirigenti della struttura e la Chiesa evangelica del Camerun vollero offrirgli alla vigilia della partenza: un’ora circa in cui egli compare in sala operatoria con tanto di camice, guanti e mascherina; poi il raccoglimento, la festa, i discorsi ufficiali, ma pieni di commozione.

Con grande carica umana, ma anche con un certo senso dello spirito, il «narratore» chiarisce che il dottore, nella sua veste di chirurgo ortopedico, era per tutti loro (operatori e pazienti, e famigliari dei pazienti) il «dottor ossa» (docteur os). Nelle parole di tutti, ma soprattutto in quelle del narratore, sta una riconoscenza che è sua, ma anche delle persone che sono state curate in quello e in successivi, più brevi soggiorni, terminati nel 2002; riconoscenza anche di quegli operatori (medici, infermieri) che da lui avevano ricevuto formazione professionale e qualificazione; e anche della struttura che ha potuto beneficiare di macchinari e attrezzature reperite in Italia con la solidarietà  delle Chiese; la solidarietà  di tutto un popolo, che si esprime non solo con un grazie! ma soprattutto con l’indicazione che conclude in forma di saluto il prologo del video: Dio vi benedica e vi guardi.

Tratto dal Settimanale Riforma del 10 ottobre 2014

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