Nella tragica vicenda della Shoah, che viene ricordata in questi giorni, si intrecciano molti fattori di natura politica, sociale, psicologica su cui sono state condotte ampie analisi. Il fatto che questa terribile pagina di storia abbia avuto come epicentro la Germania, che spesso viene identificata con il protestantesimo luterano, ha suggerito a molti che si debba riscontrare un nesso causale fra Lutero e l’antisemitismo. C’è chi ha spinto questa connessione sino a parlare di un Lutero precursore di Hitler. Il prof. Daniele Garrone, docente alla Facoltà valdese di teologia a Roma, ha aperto quest’anno i corsi con una prolusione su questo tema verificando l’attendibilità della tesi.
Egli parte dalla considerazione che negli scritti del Riformatore si registra, da un lato, una presenza costante del problema posto dalla presenza ebraica, e dall’altro il radicalizzarsi del suo atteggiamento critico; legge però questa involuzione verso posizioni antigiudaiche di Lutero facendo ricorso a due chiavi di lettura: storica e teologica.
Storicamente si può solo registrare un dato di fatto: la società europea, che ha avuto nei secoli una presenza ebraica più o meno importante secondo i luoghi e i tempi, era cristiana (o tale si professava), è lei che ha educato le popolazioni europee durante tutto il Medioevo, e ne era figlio anche Lutero. Quella società e i suoi intellettuali, tutti religiosi e chierici, ha bandito gli ebrei dalle città (per cui Lutero paradossalmente parlava degli ebrei senza averli mai frequentati), ha inventato la blasfemia, la profanazione dell’ostia, l’omicidio rituale dei bambini.
L’antisemitismo moderno, figlio di quell’antiebraismo (cui aggiunse la dimensione razziale) è un fenomeno europeo non esclusivamente germanico; si manifesta nei pogrom della Russia ortodossa, nell’affaire Dreyfus della Francia repubblicana, nelle leggi razziali dell’Italia cattolica (quella del Concordato col fascismo).
Si tratta di dati oggettivi molto noti che il prof. Garrone si limita a ricordare; molto più interessante è però il secondo aspetto del problema, quello teologico, che sviluppa ampiamente. Alla radice delle posizioni antiebraiche, o antigiudaiche, non solo di Lutero ma dei Riformatori, stanno infatti dei presupposti teologici. Uno in particolare, fondamentale: le Sacre Scritture sono il fondamento normativo, assoluto della fede cristiana, in questo la posizione evangelica è opposta a quella cattolica che pone al centro della fede non la Bibbia ma la Chiesa.
In questa prospettiva i libri trasmessi dagli Ebrei si devono leggere come parte della rivelazione, come l’Antico Testamento, preparazione a Gesù Cristo, cosa che i rabbini ebrei non sanno o non vogliono fare. In un’ottica moderna lo si comprende e giustifica pienamente, ne va della loro identità , ma in una società cristiana intesa come globalmente unitaria (quella della limpieza de sangre della Spagna cattolica) il fatto è inaccettabile.
A questo primo punto, il rifiuto di leggere i libri della Bibbia ebraica in chiave cristiana, Lutero ne aggiungeva un secondo, esso pure di natura teologica; il carattere formale della religione ebraica, incentrata sull’osservanza di precetti, norme rituali, evocava nella sua mente la precettistica cattolica che aveva dominato la sua vita sino alla scoperta della libertà della fede. L’ebraismo era in qualche modo letto nella prospettiva di una religione delle opere e non della grazia, della legge e non dell’Evangelo.
L’interesse di questa prolusione non sta solo nel chiarimento che reca al problema contingente, quello dell’antiebraismo di Lutero, ma alla prospettiva che apre nella riflessione odierna del rapporto interreligioso. Riducendo il problema alla dimensione operativa della tolleranza si dimentica troppo spesso che le premesse teologiche permangono anche se non a livello di coscienza e a quelle va data più attenzione di quanto si faccia abitualmente.
23 gennaio 2015