«Beati quei servitori che il padrone, arrivando, troverà vigilanti»
Avvento: il tempo della riscoperta della dimensione cristiana dell’attesa.
Un teologo antico diceva: “Ecco una cosa che meriterebbe di essere a lungo meditata: comprendere come viene colui che è sempre presente”. È proprio così: cosa significa aspettare il Signore? Di solito si aspetta un assente. Il Signore che aspettiamo è presente o assente?
Da un lato la fede vive nella certezza della presenza del Signore, secondo la sua stessa promessa: “Ecco io sono con voi tutti i giorni…”. Tutto il Nuovo Testamento crede in maniera incrollabile che il Signore è presente: presente nello Spirito e non più nella carne, presente allora in maniera diversa da come era presente al tempo dell’incarnazione, ma sempre presente: dopo l’Ascensione, la chiesa non invoca un assente.
Dall’altro lato la fede vive nell’attesa della venuta del Signore, la cui presenza, anziché placare quest’attesa, la intensifica ancora di più. L’invocazione fondamentale della fede, che solo una cristianità imborghesita ha potuto dimenticare, è il Marana-tha, il “Vieni, Signore Gesù!” che chiude il libro dell’Apocalisse.
Ma proprio qui c’è allora la domanda: che senso ha invocare come assente il Signore che noi confessiamo presente? E come può venire colui che è già presente?
Si può dire che con la venuta del Signore sarà tolto il velo che tuttora lo cela agli occhi di molti, ed egli apparirà nella sua gloria. Ma ciò non basta a spiegare l’insistenza con cui Gesù chiede ai discepoli di aspettarlo, come se su questo si giocasse tutto. Perché è così importante aspettare il Signore, al punto che Gesù proclama “beati” coloro che lo aspettano? E perché al contrario è così grave non aspettarlo, al punto che Gesù riserva a chi non lo aspetta “la sorte degli infedeli” (Luca 12,46)?
È importante aspettare il Signore che è presente, perché così si rende testimonianza che egli non è in nostro possesso, che Dio è con noi, ma noi non possiamo requisirlo, ma soltanto invocarlo. E non possiamo comandarlo, non abbiamo potere su di lui, ma solo aspettarlo. La nostra attesa di Dio corrisponde alla libertà di Dio verso di noi.
Per questo è difficile attenderlo, perché significa dipendere totalmente da lui e riconoscere che siamo solo a mani vuote e tese; e chi è disposto ad attendere sempre, e non anche alla fine a possedere? “Penso al teologo, che non aspetta Dio perché lo possiede chiuso in una dottrina. Penso all’uomo di chiesa, che non aspetta Dio perché lo possiede chiuso in un’istituzione. Penso al credente, che non aspetta Dio perché lo possiede chiuso nella propria esperienza… Penso che buona parte della rivolta contro il cristianesimo, è dovuta alla pretesa esplicita o sottintesa dei cristiani di possedere Dio, e perciò anche alla perdita di questo elemento dell’attesa, così decisivo per i profeti e gli apostoli” (Paul Tillich).
È chiaro allora qual è la chiesa che non attende il Signore: è la chiesa “possidente” che anziché annunciarlo, lo incamera, e in questo modo lo perde e si perde. La fine dell’attesa è in realtà la fine della fede. L’attesa del Signore che la mentalità moderna è incline a liquidare come vana e mitologica, è invece parte integrante delle fede, di cui rivela qualità e realtà .