“Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione”.
2 Corinzi 5, 17-18
Riconciliarsi, riconciliare, è un processo complesso, lungo, a volte faticoso se non impossibile. Infatti suo presupposto è il perdono sebbene la capacità umana di perdonare non sia certo in grado di superare la soglia dell’imperdonabile. Ne consegue che riconciliazione e perdono, se lasciati a noi stessi, sono in pratica impossibili.
Nella nostra solitudine ci muoviamo, infatti, fra due polarità. Da un lato le nostre azioni ci si presentano come irreparabili, scolpite irrimediabilmente nella nostra storia personale; dall’altro esse possono essere consegnate all’oblio della nostra dimenticanza ed essere solo il segnale della nostra “stoltezza”. Rimane il fatto che in tutto quest’arco di tempo ci troviamo al di “al di qua” di ogni riconciliazione e gettati nel cono dell’angoscia e della solitudine, senza nemmeno la coscienza della necessità di un riscatto e di un perdono.
Ma è proprio qui che il cammino di riconciliazione comincia: nell’apertura a quella dimensione che abbatte il muro di angoscia dell’io solitario, e ci raggiunge il “noi” dell’incontro, che rende veramente ogni cosa nuova, perché «tutto questo viene da Dio». Non vi è nulla di miracoloso: il “noi” dell’incontro rende chiara la possibilità di essere oggetto di perdono e per questo pronti al nuovo che si affaccia. Si può cominciare da capo.
Tutto è nuovo nell’intraprendere un cammino a volte intermittente, a volte doloroso, ma che ora ha acquisito un orientamento e una direzione, un “verso dove” perché, nel confronto con la radice della vita, si riempie quel vallo di cecità nel quale continuavamo a dibatterci. Tutto è come prima, ma tutto è radicalmente diverso, perché ora ci sostiene la radice comune del Cristo.