Torre Pellice, 6 ottobre 2017
Arrivare a Volos, cittadina greca sul mare, è un viaggio facile ed economico: con pochi euro si prende un volo low cost da Roma, o Milano, a Salonicco. Un’ora e mezza e si atterra. Facile, ma poi qualche difficoltà nasce lì, una volta scesi. La linea ferroviaria greca è obsoleta, ed è quindi sconsigliabile. Il mezzo di trasporto più usato è ancora oggi il pullman. Due ore e mezza per arrivare a Volos, da Salonicco. Una linea ferroviaria veloce ci metterebbe un’oretta, con tutti i comfort annessi. Certo nulla da dire sul paesaggio. Guardando da una parte si ritrova la costa e il mare a fare compagnia, mentre dall’altra parte si rimane attoniti di fronte a niente di meno che l’Olimpo, sulla cui cima abitavano gli antichi dei, e da cui talvolta saltellavano giù, qua e là , tra gli uomini e le loro vicende.
Anche questa è Europa. L’Europa di quella Grecia che ha pagato un prezzo sociale ed economico pesantissimo e per alcuni ingiusto, effetto di un’inflessibile austerità economica ribadita dalle troppo distanti istituzioni dell’Unione Europea a trazione tedesca.
Non casualmente dunque è proprio qui, in Tessaglia, che la Conferenza delle chiese europee (KEK), ha convocato la propria consultazione per il Sud Europa, in vista della prossima assemblea generale che si terrà in Serbia, a Novi Sad, dal 31 maggio al 6 giugno 2018.
D’altra parte la KEK è Europa. Tiene insieme 125 chiese, è nata nel 1959, ed è uno di quei progetti europei che volevano – e tuttora vogliono – creare comunione al di là delle barriere che i blocchi politici pongono e, talvolta drammaticamente, impongono. Allora la grande visione era quella di avvicinare Est e Ovest, al di qua e al di là della a tratti invalicabile cortina di ferro. Oggi invece? Alla consultazione erano presenti rappresentanti delle chiese ortodosse, anglicane, protestanti e armena di Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Finlandia, Romania, Inghilterra, Germania, Serbia, Armenia. Una nutrita rappresentanza che, grazie alla natura consultiva del momento, ha potuto parlarsi apertamente, non lesinando anche aspre critiche per la costituzione attuale dell’Unione europea; dichiarando da parte di alcuni la paura e persino la diffidenza nei confronti della migrazione, soprattutto per quella proveniente da paesi musulmani; e infine l’insofferenza per una Russia che si è ritratta da ogni dialogo ecumenico: sia in ambito intra-ortodosso (è stata la grande assente del sinodo pan-ortodosso tenutosi nel 2016 a Creta), che intra-cristiano. Tutto questo è l’Europa di oggi. Vicina, ma anche distante.
Nonostante i mal di pancia e le esplicite critiche delle politiche europee, il quadro dell’Unione Europea rimane di fatto la cornice entro cui si è riflettuto. Ancor di più: l’Europa è ancora quel “sogno a cui non rinunceremo”, ha detto un giovane rappresentante della chiesa ortodossa di Grecia. E seppur rimane viva e dolorosa la sensazione di essere a tratti ignorati tanto dalla politica – sia locale che europea – che dalle gerarchie ecclesiastiche – in particolare in ambito ortodosso – la linea sembra essere infine quella non di desistere, bensì di rilanciare. Ovvero di unificare le forze e gli sforzi in tutta Europa, coordinandosi ecumenicamente nell’azione comune, nel “fare la cosa giusta”, per esempio per quel che riguarda i migranti e in particolare i richiedenti asilo.
Sono state commuoventi le immagini delle chiese greche, tutte (ortodossi, cattolici e protestanti), che hanno mostrato le azioni concrete intraprese nei confronti dei migranti, fino all’anno scorso reclusi nel famoso campo di Idomeni, ai confini con la Macedonia.
I mass media hanno spento i riflettori, e sembra oggi – dall’Italia e dall’Europa – che ormai il problema sia risolto. Così non è, né per l’Italia, che quotidianamente riceve notizie di morti in mare, tra la Libia e Lampedusa, né per la Grecia. I flussi continuano anche qui sulle sponde greche, ma oggi in una modalità “soft” – ci spiega Sofia Dassyra, rappresentante di Caritas Grecia – senza interesse né copertura mediatica.
Queste chiese nel quotidiano danno la loro risposta. Aiutano, danno alloggio, sostengono migliaia di persone, sia greci che migranti. Così come – è stato ricordato – avviene in Italia, con lo sforzo promosso attraverso il progetto Mediterranean Hope e Corridoi umanitari (che vede in collaborazione la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Chiesa valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi e la Comunità di Sant’Egidio); ma anche attraverso l’attenzione delle chiese protestanti italiane per il tema dei diritti, tra cui quello della libertà religiosa, e infine con l’impegno a pensare la testimonianza cristiana in Europa a partire anche dalla nuova condizione di post-secolarizzazione, plurale e diversificata tra credenti, non credenti, o credenti “nuovi”.
“Quale futuro per l’Europa?”, recitava il titolo della consultazione. Sembra che, nonostante i pesanti effetti della crisi in Grecia, la Brexit, la crisi ucraina, il problema tra le chiese ortodosse russa ed estone, e una Serbia ancora scottata, il puzzle europeo rimanga per lo meno un sogno di un gruppo di persone.
La sfida a Novi Sad, sede della prossima assemblea, non a caso proprio in Serbia, che attende di entrare nell’Unione europea – ma le implicazioni politiche e i veti incrociati sono ancora troppo intricati – sarà quella di dare slancio a una Conferenza delle chiese europee che dovrà essere in futuro sempre più promotrice di vere e proprie rinnovate politiche (policies) europee. Questa è la speranza di alcuni, forse di molti. La strada appare oggi però in salita.