ArticoliUn pensiero in libertà

L’estetica della polis

Nuovo appuntamento con il pastore Marco Di Pasquale e la sua rubrica “Un pensiero in libertà”

Nel 1939, il filosofo tedesco Walter Benjamin, ne Lʼopera dʼarte nellʼepoca della sua riproducibilità tecnica, affermava che il tentativo dei totalitarismi di ridurre la politica da attività per il riconoscimento e lʼattuazione dei diritti al semplice consentire alle masse lʼespressione, incanalata e organizzata, passava per una «estetizzazione della politica» – consisteva cioè nel rendere la politica, tramite la tecnica, unʼesperienza estetica, dei sensi e delle emozioni (vi rientra anche il “parlare alla pancia del popolo”), per catalizzare il consenso verso il culto di un capo. E la massima esperienza estetica che il totalitarismo può offrire alle masse è senza dubbio la guerra.

Lʼanalisi delle relazioni fra politica ed esperienza dei sensi non nasce con il comparire dei totalitarismi novecenteschi, ma sʼinserisce in un lungo dibattito iniziato tra la fine del Settecento e lʼOttocento, nel passaggio fra illuminismo e romanticismo, a riguardo di un tema che in realtà percorre, e per certi aspetti costituisce, lʼintera storia dellʼOccidente: il rapporto tra produzione/fruizione dellʼarte (simboli, miti, poesia) e legittimazione di un ordine sociale.

I simboli, i miti, i linguaggi, esistono in quanto pubblici: senza essere condivisi da una intera comunità, non esistono. Ma anche allʼinverso: senza condivisione di simboli, miti, linguaggi, opere dʼarte, a non esistere è la comunità, la società!

La religione stessa, persino quella della Dea Ragione raffigurata come una statua greca, è costituita per parte umana da elementi simbolici, mitici, artistici, emozionali – cioè estetici – condivisi. Una religione del tutto priva di tali elementi non riesce a valere come tale. Cosa sarebbero mai i nostri culti senza il canto deglʼinni, ultimo brandello estetico rimastoci, nel quale ancora ci riconosciamo spontaneamente come comunità?!

Lʼestetica è politica, sempre; fonda o legittima la polis, la cittadinanza. Il ritorno sulla scena mondiale di forze nostalgiche di totalitarismo è stato reso possibile in gran parte dalla perdita verticale, negli ultimi decenni, di capacità simboliche, mitopoietiche, estetiche, da parte delle forze genuinamente democratiche. Altri hanno occupato quel vuoto.

Si è creduto che il riconoscersi in una cittadinanza, il sentire di appartenere a una comunità consistesse nellʼaderire a buone pratiche, oneste, altruistiche, solidali. Ma il piano simbolico non può essere rimpiazzato dallʼetica, scaturisce da unʼaltra fonte. Solo oggi ce ne accorgiamo.

Condividi su: