In tempi di facili polarizzazioni, l’amore di Gesù ci insegna l’attenzione per l’altro e per il suo pensiero differente
“Accogliete colui che è debole nella fede, ma non per sentenziare sui suoi scrupoli”.
Romani 14,1
L’apostolo Paolo è spesso descritto come rigido, misogino, addirittura omofobo (con acrobatico anacronismo). Eppure, tra i primi cristiani è quello che mostra più attenzione rispetto alla diversità di sensibilità e opinioni. Ipotizzando che sia una reazione alla vita prima della conversione, in cui era un feroce persecutore, comprendiamo che convertirsi non sia tanto un cambio di etichetta religiosa (tra l’altro Paolo non smette di definirsi ebreo) quanto l’apertura al punto di vista di Dio, che ama ogni sua creatura.
In almeno due lettere (Romani e I Corinzi) Paolo indica una via da percorrere quando si incontrano “deboli” e “forti” nella fede. Per intenderci, come li definiremmo noi oggi? I forti sono sempre forti nel corso dei secoli: sono le persone sicure di sé e di quel che hanno capito, mentre possiamo pensare ai deboli come alle persone sensibili.
L’aspetto interessante è che, un po’ come Gesù, Paolo rifiuta la logica dello schieramento, pur non tacendo il proprio accordo con le posizioni dei più forti. In altre parole, i forti hanno ragione e hanno capito la dottrina, ma questo non li autorizza a (diremmo noi oggi) “bullizzare” i deboli. Aver ragione, essere più intelligente, farsi carico con coraggio delle conseguenze delle proprie scelte chiamano anzi a una maggiore responsabilità.
L’attenzione all’altro, soprattutto se ha capito male e si sta sbagliando, l’amore per chi la pensa diversamente, in tempi di polarizzazione, mi pare una buona idea. Se poi credi in Gesù, beh, si tratta di un comandamento.