Il simposio ecumenico internazionale promosso dalla Facoltà valdese di teologia e dalla Comunione mondiale di chiese riformate
World Christianity in an Era of Accelerated Mobility: questo il titolo del secondo simposio ecumenico internazionale organizzato dalla Facoltà valdese di teologia e dalla Comunione mondiale di chiese riformate (WCRC) il 22 e 23 novembre 2024 a Roma. Il tema della “mobilità accelerata” è stato trattato attraverso più approcci: sociologico, ecclesiologico, teologico ed ecumenico. Si tratta indubbiamente di un argomento di grande attualità a livello politico, sociale e culturale. Il simposio è stato un tentativo di capire insieme non solo quale chiesa vogliamo essere, ma anche quale chiesa possiamo essere in un mondo che diventa sempre più interconnesso e veloce e nel quale risorse e possibilità sono suddivise in maniera diseguale e sistematicamente ingiusta. È stato anche una tappa nel percorso teso a cercare di comprende quale ruolo si voglia e si possa giocare come chiese oggi nella realtà locale e globale.
La Facoltà valdese di teologia e la WCRC hanno deciso di trattare questi temi nell’unica maniera in cui ha senso farlo oggi: arricchendo il dibattito con esperienze ecumeniche e transnazionali. Il fatto che questo tema sia stato oggetto del simposio nell’anno dei festeggiamenti per l’anniversario degli 850 anni del movimento valdese ha permesso alla moderatora delle Tavola Valdese, Alessandra Trotta, di ricordare come la teologia valdese sia stata una teologia in movimento. Il decano della Facoltà, Lothar Vogel, riprendendo l’esperienza dei barba (predicatori valdesi itineranti, n.d.r.), ha aggiunto un ulteriore aggettivo a questo movimento: si è trattato e si tratta di un movimento “precario”. In movimento, precaria, transanzionale e contestuale è la teologia in un mondo a “mobilità accelerata”. Dall’intervento di apertura di Andrea Bieler, professoressa di teologia pratica alla Facoltà di teologia dell’Università di Basilea, fino alla chiusura ecumenica, i due fili rossi sono stati quello del ruolo delle chiese nella migrazione a livello politico e profetico, e quello della capacità delle chiese di lasciarsi cambiare e di rinnovarsi a partire da una base biblica che non può che chiamarle ad aprirsi. Se la teologia cristiana non può che essere teologia migrante, allora non accettare di lasciarsi sfidare concretamente dalla realtà “mobile” in cui viviamo corre il rischio di renderci chiese addomesticate e irrilevanti. Come reagire proficuamente a questa sfida deve essere elaborato sempre in maniera contestuale ed ecumenica. Pertanto, momenti come questo sono preziosi e da ripetere in futuro.