Operatrice a Lampedusa e Palermo per Mediterranean Hope – programma rifugiati e migranti della FCEI
Dall’8 al 12 luglio si è svolta a Indianapolis (Indiana, USA), l’Assemblea generale della Chiesa cristiana dei Discepoli di Cristo. La settimana precedente (30 giugno – 4 luglio), si è tenuto invece il Sinodo generale della Chiesa Unita di Cristo (UCC) a Baltimora (Maryland, USA). Queste due denominazioni sono tra loro autonome, ma condividono uno stesso coordinamento, il Global Ministries, che mantiene le relazioni con i partner internazionali, tra cui l’Unione delle chiese metodiste e valdesi in Italia, e le diverse missioni nel mondo.
La chiesa dei Discepoli di Cristo comprende diverse comunità , a volte anche molto diverse tra loro. Ci sono chiese afroamericane, coreane, altre prevalentemente bianche; alcune sono più progressiste, altre più conservatrici. Ma il tema dell’Assemblea, dal titolo “One”, è stato proprio quello dell’unità , del saper stare insieme nonostante le differenze e la fatica che questo sforzo comporta. La mia percezione è stata quella di avere davanti una chiesa con spinte diverse al suo interno ma che cerca di andare in una direzione di apertura. Questo si è percepito nelle forti parole durante i sermoni del Rev. Josè Francisco Morales Jr. e della Rev. Dr. Serene Jones, entrambi aventi uno sguardo rivolto ai più deboli, agli ultimi, agli emarginati, ma anche alle sfide dell’unità . Un segnale di apertura è stato dimostrato anche quando l’Assemblea ha eletto, con ampio consenso, la prima donna afro-americana a guida della denominazione, la Rev. Teresa Hord Owens. Appena eletta, commossa, la Owens ha ringraziato tutti per la fiducia espressa ricordando che “questa strada di unità andrà percorsa insieme” e molto intenso è stato il momento del suo insediamento durante il culto finale quando tutti i partecipanti si sono stretti intorno a lei, creando un cordone di mani per sostenersi gli uni gli altri.
È rilevante sottolineare come la UCC e i Discepoli di Cristo siano chiese fortemente impegnate a livello sociale, in quella che negli Stati Uniti viene definita social justice, impegno che fa di queste comunità tra le più progressiste negli USA. La presenza di una rappresentante dalle chiese valdesi e metodiste è stata strettamente legata a un tema centrale affrontato in questi due incontri, quello dell’immigrazione. In questo contesto ho avuto l’opportunità di presentare il lavoro di Mediterranean Hope – Progetto rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e dei Corridoi Umanitari. Il tema dell’immigrazione è uno dei più scottanti in questo momento negli Stati Uniti, soprattutto con l’irrigidimento delle politiche migratorie durante la presidenza Trump. Negli ultimi mesi, infatti, è stata incrementata la militarizzazione dei confini e il controllo delle frontiere, sono aumentati i centri di detenzione, le deportazioni, per non parlare del blocco dei visti per i cittadini provenienti da paesi a maggioranza musulmana.
Durante l’Assemblea si è quindi discusso anche di questo tema e sono state approvate due mozioni. La prima che dichiara i Discepoli di Cristo una Immigrant Welcoming Church (così come è avvenuto durante il Sinodo della UCC), cioè una chiesa accogliente che supporti le famiglie di immigrati e i singoli nel loro inserimento nella società , che presti loro assistenza materiale, spirituale ma anche politico-legale e che implementi una cultura della solidarietà e del rispetto della dignità di tutti gli esseri umani. La seconda mozione, Emergency Resolution, si è concentrata sull’esprimere preoccupazione per l’inasprimento delle politiche migratorie, tra cui la scelta di ridurre i numeri per il ricollocamento di migranti in fuga da situazioni di pericolo e il blocco dei visti (ban on travel) per coloro che non riescono a dimostrare di avere parenti stretti negli USA. Interessante che in questa mozione siano stati citati i partner internazionali e che sia stata inserita anche la lettera che la FCEI ha di recente diffuso circa il supporto al lavoro delle ONG nel Mediterraneo. È quindi molto forte il legame che in questo momento unisce tutte quelle chiese che si stanno esprimendo a favore dei rifugiati e migranti nel mondo. Come ha dichiarato Peter Makari, coordinatore del Global Ministries per l’Europa e il Medio Oriente: “le nostre chiese non sono certo un’agenzia per i diritti umani o una ONG, ma sono comunità di fede, che però non sono separate dalla società in cui si trovano. Oggi non sappiamo con precisione quali sfide ci attendano, ma sappiamo che delle sfide ci saranno e cerchiamo di affrontarle insieme, perseguendo l’unità della chiesa e del mondo.”
E il motto di questa denominazione appare allora ancora più chiaro:
We are Disciples of Christ, a movement for wholeness in a fragmented world. As part of the one body of Christ we welcome all to the Lord’s Table as God has welcomed us
Noi siamo i Discepoli di Cristo, un movimento di unità in un mondo frammentato. Siamo parte dell’unico corpo di Cristo e accogliamo tutti alla sua tavola così come Lui ha accolto noi.
Lo sforzo dei Discepoli di Cristo è quindi quello di rimanere uniti, ricordandosi che «We are one in the Spirit, we are one in the Lord», come abbiamo cantato, una speranza che condividiamo come chiese, soprattutto in un momento in cui ci serve stare insieme per affrontare le grandi sfide e le ingiustizie che vediamo e viviamo quotidianamente.
13 luglio 2017